PAMPEPATO di Vittoria



Si pensa che la ricetta risalga al Cinquecento (ci fu una mostra ed un convegno al Castello, qualche anno fa, intitolato "A Tavola con il Principe", dove la cucina della raffinata e colta Ferrara estense venne indagata e studiata storicamente).
Poichè il dolce prevede il cioccolato, che a quell’epoca era disponibile quasi solamente nell’ambito dei conventi, gli storici pensano che esso sia nato nell’ambito degli ecclesiastici, i quali lo dedicarono al Papa, per cui sembra che la prima denominazione sia stata "PampApato", poi tramutata in "PampEpato" nell’uso comune. Oggi c’è un recupero del primo nome.
Le ricette originali, forse dei gesuiti, non ci sono pervenute; se ne tramanda a Ferrara la tradizione, di generazione in generazione.
Oggi c’è anche il Pampepato commerciale; la ricetta che riporto è quella che usano le ultime generazioni di ferraresi, che ovviamente non è piu’ esattamente quella del Cinquecento.

Ricetta
Tostare in padella 300 grammi di mandorle.
Mescolare
1 Kg. di farina 00, 300 gr. di zucchero, un pizzico di cannella, 50 gr di lievito in polvere, 200 gr. di cacao, gr. 120 di frutta candita a cubetti, 4 chiodi di garofano ridotti in polvere, 300 gr. di uvetta, le mandorle in parte intere in parte tagliate a metà.
Aggiungere un po’ di scorza di arancio, limone e mandarino, grattate, in quantità a piacere. Aggiungere un pizzico di sale ed un po’ di noce moscata.
Conosco due modi per impastare: con l’acqua, ve ne andrà circa 1 litro; oppure con 400 gr di marmellata di frutta mista.
I due sistemi possono integrarsi.
L’impasto deve essere uniforme ed abbastanza sodo.
Formare due o tre pagnottelle a forma di “papalina”, cioe’ di cupola più piatta dello zuccotto, disporle su di una placca imburrata. Mettere in forno a 160° per un ora ed un quarto. Fare raffreddare bene i dolci, asciugarli tenendoli in luogo asciutto, coperti, per un paio di giorni almeno (meglio 4 giorni).
Sciogliere a bagno- maria 600 gr. di fondente, e ricoprire completamente le cupole.
E’ più elegante e raffinato del certosino bolognese, di cui è parente stretto, anche nell’origine ecclesiastica.