PASQUA DEL 1951
E’ la Pasqua del 1951. La mia famiglia di mezzadri con poca terra e tanta miseria prepara il pranzo della domenica.
Ci sarà mio zio Lido, che si metterà a parlare di politica con gli altri uomini e vorrà avere sempre ragione e naturalmente mia zia Natalina, la sorella di mia madre, ci saranno i nonni materni, e mio nonno Maso, che non è il mio nonno vero ma il secondo marito di mia nonna rimasta vedova. Forse per questo mi farà un sacco di complimenti e mi chiamerà "nodo".
Da mangiare lo fanno mia mamma e mia nonna.
Ci tengono a fare una bella figura, a far vedere che non siamo poi così poveri.
Mio nonno Pietro si è messo il panciotto e mio zio, che fa i capelli a tutto il vicinato con la macchinetta, ha dato una ripassata a tutta la famiglia.
Sono arrivati tutti, in tavola c’è la migliore tovaglia del corredo di mamma ed il servito comprato alla fiera della Venturina. E’ sempre fresco e quindi non c’è ancora la carta dove si appiccicano le mosche attaccata al lume a carburo.
Mia mamma porta i due vassoi dei crostini. Ci sono quelli fatti con i fegatini di pollo, capperi e acciughe e quelli con il pane arrostito bagnato nel brodo e coperto con il ragù che servirà poi per le tagliatelle.
Il pane è quello normale, tagliato a fette sottili e fatto abbrustolire nel focarile; qualche fetta è un po’ bruciacchiata ma non importa. I grandi hanno tutti problemi ai denti e quando qualcuno dice l’immancabile battuta "questi si rodono meglio" riferita ai crostini bagnati nel brodo, ridono tutti con cognizione di causa.
Arrivano poi le tagliatelle fatte a mano la sera prima e poi lasciate a seccare a cavallo di una canna posta tra due seggiole nella camera dei nonni.
Per il ragù si è comprato addirittura un etto di macinato in paese, ma per il resto sono le cipolle, gli intestini e le creste dei polli e il fegato del coniglio. Lo sapevo che la mi nonna lo metteva nel ragù, mentre a me sarebbe piaciuto nell’arrosto.
Poi arriva il brodo di gallina, con tutti gli anelli sopra e dentro le uova piccoline, quelle non ancora fatte dalla gallina, che sono buonissime e me ne toccano diverse.
Nel brodo ci sono anche i briciolelli, quei grumi della farina che rimangono dopo aver fatto la pasta e che la nonna ha separato con lo staccio grande.
Ora che la peggio fame è passata incominciano a parlare ed a bere il vino, che finora nessuno aveva ancora versato.
Il vino lo fa il mi babbo, perché in cantina comanda lui e si arrabbia sempre quando qualcuno ci vuol mettere le mani. Mio zio dirà che si, ... insomma.., ma lo fa per far arrabbiare mio babbo e per non dargli soddisfazione.
C’è l’arrosto, di coniglio e di faraona, tutte e due sono allevati da noi, ovviamente. Ma anche dei bei pezzi di agnello che il pastore Fiorini ce n’ha dato mezzo perché gli facciamo pascolare le pecore nel nostro podere tra il raccolto e la coltratura. Peccato che il podere è piccolo sennò ci toccava un agnello intero.
Per contorno le patate al forno, specie che ora la mi mamma ha comprato la stufa economica che fa anche l’acqua calda ed il sabato sera mi ci fa il bagno.
Poi portano in tavola l’umido, con due o tre piccioni ed un cappone cotti nel ragù, accompagnati dal polpettone in umido che a me piace molto.
Quando viene la donna che fa i capponi la mi nonna prepara la cenere, l’olio e l’ago con il filo grosso. La donna dei capponi ha il rasoio e si mette i galletti a testa in giù tra le ginocchia, tira via le penne, incide, fruga dentro con un dito e poi taglia i “fagioli” e li mette in un tegamino che poi li mangio il mi nonno.
Poi prende l’ago con il filo e cuce due o tre punti, unge d’olio e ci sparge sopra la cenere fine e lascia liberi i galletti che ora sono capponi e ingrassano alla svelta.
Poi va a quell’altro podere e via.
Poi in fine il fritto, ma fatto con molta verdura e poca carne. Carciofi, fiori di zucca, patate a fette, foglie di salvia, zucchine e un maialino d’india.
Arrivano i dolci e allora anche il vino dolce, quello che si fa con il mosto filtrato quando si vendemmia e che posso bere anche io e subito il mio babbo e il mi zio incominciano a discutere se ci vuole o no la presa.
Il mi babbo dice di no, ma il mi zio è più moderno e dice di si. C’ha anche la vespa.
Per dolci hanno preparato il corollo e i burrini, che il mi zio ci si butta sopra.
Ne hanno fatti tanti, nel forno sull’aia, così per tutta la settimana si mettono nel caffè e latte la mattina.
Poi il mio babbo prende la grappa distillata di nascosto con la macchina di uno che sta vicino e che la presta a tutti. Se non fanno una spiata alla Finanza la grappa è assicurata dalla torba del vino quando il mio babbo lo travasa.
Siamo tutti pieni. E’ finito il pranzo di pasqua.
|