di babette



LA CUCINA DELLA PRATERIA BOLOGNESE

Sono riuscita a raccattare delle cultura e tradizione gastronomica tipica della mia prateria: naturalmente, essendo io di origini contadine (anche se ho vissuto in città fino ai 16 anni, andando in campagna, dove mio padre già coltivava la terra che era del nonno, solo durante le estati), proverò di parlare delle tradizioni delle case contadine, più in particolare di quelle dei miei nonni paterni.
In realtà, ho capito parlando con la Luisa (leggasi la mì mamma) che nella casa dei miei nonni, rispetto ad altre che erano molto più povere, si stava piuttosto bene: c'era la terra che dava i suoi frutti, c'era il bestiame, c'erano gli animali da cortile, quindi quel che non era prodotto in loco veniva acquisito il più delle volte attraverso un baratto (sto parlando di scambi in natura, il concetto più antico del mondo).
Quando si parla di cucina cosiddetta povera, si pensa a poco cibo e scarsa varietà, ma nel nostro caso, attraverso i racconti della Luisa, ho avuto l'impressione che questa cucina non fosse poi così povera e nemmeno così poco varia: c'erano i piatti per "tutti i giorni" e c'erano i piatti "da festa" dove per festa si intendevano tutte le feste comandate (religiose e non), i matrimoni o altri eventi speciali.
Ma l'aspetto che più mi ha colpito di tutto il racconto è stata la ciclicità legata al cibo, ovvero, si mangiavano le stesse cose negli stessi giorni della settimana o alle stesse feste.
Le feste religiose erano le più numerose nell'arco dell'anno (le famiglie contadine avevano una forte cultura religiosa) e quindi le occasioni per riproporre certi cibi "da festa" non mancavano: Natale, Capodanno, la Pasqua Rosa o Befana (era la prima Pasqua dell'anno), S Giuseppe, gli Addobbi o Corpus Domini (si portava in processione l'immagine del Corpus Domini: questa festa veniva celebrata ogni 10 anni nelle parrocchie in città, mentre in campagna ogni paese veniva diviso in 4 quartieri e ogni quartiere festeggiava una volta ogni 4 anni, a rotazione), l'Ascensione, l'Assunta, la festa del paese (della parrocchia del paese).
Poi c'erano le feste civili: 25 aprile, 1° maggio, 4 novembre (fine della prima guerra mondiale).
Forse ne festeggiavano anche altre ma io non so.

Tornando alla periodicità o ciclicità dei piatti della nostra tradizione, cominciamo descrivendo prima i piatti quotidiani, dei giorni NON di festa.
Dunque, la 'zdòura metteva su la pentola (la pentola, così detta senza aggiunta, stava ad indicare unicamente la pentola dove si andava a preparare il brodo) tutti i giovedì e tutte le domeniche, e nella pentola ci poteva essere un poco di carne di manzo e basta (oltre agli "odori" naturalmente) o ci poteva essere anche una gallina: se non c'erano occasioni particolari, nel brodo venivano cotti i "parpadlèn" (quadrettini o quadrucci), fatti con la sfoglia in casa, oppure "al tajadlèini da bròd" (tagliolini fini da brodo); se nel brodo era stata messa la gallina, quella costituiva il secondo insieme a qualche verdura dell'orto (molto spesso radicchi), mentre la carne di manzo veniva lasciata raffreddare, poi tagliata a tocchetti e messa in insalata per fare cena la sera.
Se avanzava del brodo dal pranzo del giovedì o la domenica, veniva immediatamente riproposto a cena (non c'erano frigoriferi e quindi c'erano scarse possibilità di conservazione degli avanzi) a volte con dentro stracciatella di uovo e se per caso ne avanzava ancora, ritornava in tavola per il pranzo del giorno dopo.
Il venerdì si faceva la minestra di fagioli, con i fagioli passati e i maltagliati cotti dentro, ottenuti dai ritagli delle sfoglie fatte in casa durante la settimana e lasciati seccare in previsione della minestra di fagioli.
Il sabato quasi sempre si facevano i gnocchi di patate che, al contrario delle altre paste asciutte delle nostre parti, venivano conditi con il sugo: per sugo si intendeva passata di pomodoro (la nostra "conserva") con carota sedano e cipolla e, se c'era, poco burro.
I giorni della settimana che non ho nominato, si faceva "da sòt" (letteralmente "di asciutto", pasta asciutta) e lì scattava il ragù: il ragù era sempre fatto di fresco, per i motivi che già ho detto, quindi veniva fatto in quantità necessaria e sufficiente per quel giorno.
Quel che diceva Betti circa il rumore del coltello che batte sulla "pistadùra" (tagliere di legno) per triturare gli odori che iniziano il ragù, era un rumore che io sentivo fin da bambina e che voleva dire sempre la stessa cosa: qualche 'zdòura stava cominciando a fare il ragù.
Naturalmente quel ragù condiva una pasta fatta in casa che poteva essere all'uovo, fatta con uova e farina, oppure con farina e parte uova e parte acqua: i formati che usavano erano le tagliatelle o gli "strichetti" (farfalle).
Nei giorni "da sciutto" il secondo era costituito da verdura e 2 fette di salame o pancetta, formaggio se era stato fatto dalla 'zdòura.
Tutto ciò che ho raccontato si riferisce praticamente solo ai pranzi della settimana, pasto principale della giornata, perchè la cena non godeva di particolari attenzioni, bastava poco, giusto per sfamarsi: si poteva trovare quindi un pancotto se in casa c'era molto pane secco (zuppa fatta con pane, acqua e quel che c'era per insaporirla, panna o olio o burro, fatta bollire fino a consistenza piuttosto spessa. La nonna Pepina me la faceva ogni tanto perchè a me piace da morire), qualche radicchio, forse un uovo, fritto o sodo, e forse una fetta di pancetta.

Per le ricorrenze sopra ricordate la questione era un po' diversa: dentro il brodo venivano cotti i tortellini, o la zuppa imperiale o minestra fritta o i passatelli ( il tipo di pasta cambiava a seconda della ricorrenza festeggiata); per festeggiare alcune feste venivano fatti i tortelloni ripieni di ricotta, uovo, prezzemolo, forma (parmiggiano), con la ricotta fatta sempre dalla 'zdòura, e conditi con il sugo come per i gnocchi di patate.
Nelle feste importanti come secondo si poteva avere anche un coniglio arrosto, o una faraona o addirittura il lombo di maiale (ma la festa doveva essere MOLTO importante).

Il gnocco fritto (DO YOU KNOW?) veniva portato ai braccianti che stavano lavorando la terra dalla 'zdòura, moglie del proprietario della terra, a volte così da solo, a volte con 2 fette di salame, e costituiva la loro "merenda" di metà mattina.
In casa della mia nonna (che poi è la nonna Libera autrice dei quel meraviglioso semifreddo di cui abbiamo già parlato) quando dopo la mungitura si bolliva il latte in una pentola vicino al fuoco del camino, facendolo andare piano piano, si preparava il latte da utilizzare in cucina per diversi usi e si produceva anche la panna (sulla superficie del latte se ne faceva uno strato di 2 centimetri) che poi serviva a fare il burro o ad arricchire un pancotto o ad allietare il palato della Luisa che andava a trovare la nonna Libera e che adorava la panna appena fatta (potremo biasimarla?)

I dolci erano riservati alla domenica oltre che alle feste: i dolci comuni erano la ciambella, la crema (specie di zuppa inglese fatta con crema pasticcera bicolore). Ma anche questi modesti dolci non erano di tutte le famiglie, la nonna aveva in casa quanto serviva a farli, altri non potevano.
C'erano poi i dolci legati a spedifiche ricorrenze: le frittelle di riso della prima dominica di Quaresima, le raviole di S. Giuseppe, il semifreddo di burro, il fiordilatte, e gli zuccherini (piccolissimi anellini di frolla burrosissima all'aroma di anice) per i matrimoni, la torta di riso e i biscotti per gli Addobbi e la festa del Paese .

Bene, questo è il ritratto di quanto succedeva in una famiglia contadina della prateria, ma da quel che so, questo modo di attribuire i cibi e i piatti a giorni e ricorrenze fisse era di tutti.
Mi sono sempre chiesta il perchè di questa stretta ciclicità del riproporre gli stessi cibi negli stessi giorni e nelle stesse feste. Le ragioni secondo me sono di ordine "sacro-rassicuratorio" infatti il cibo ha sempre rappresentato l'aspetto sacro della socializzazione e condivisione (Re Artù, la tavola rotonda e il calice rappresentano il progetto e l'ideale comune, nell'Eucarestia idem , si mangia tutti insieme sacralmente il corpo che rappresenta l'aspetto terreno, razionale, la forza per compensare le ombre, le paure, il non definito (il diavolo?) che è dentro di noi). Certo c'era anche un modo di nutrirsi autarchico che non permetteva approvvigionamenti extra ma non è solo questo perchè con gli stessi prodotti ci si può sbrigliare in miriadi di preparazioni sempre nuove ,il che non avveniva.
L'ipotesi sacrale-rassicuratoria rimane per me la più plausibile.

TORTA DI RISO
(ricetta di casa Bassi-Mazzoli : la luisa fa Mazzoli di cognome)
1 LITRO LATTE INTERO (MEGLIO SE FRESCO)
125 GR. RISO (del tipo che si gonfia, per dolci)
100 GR. CEDRO CANDITO TRITATO
100 GR. MANDORLE SPELLATE E TRITATE
300 GR. ZUCCHERO SEMOLATO
1/2 CUCCHIAIO DA TAVOLA DI CACAO AMARO
12 AMARETTI
5 UOVA INTERE
SCORZA GIALLA DI MEZZO LIMONE
PEZZETTO DI STECCA DI VANIGLIA (o bustina vanillina)
Metti sul fuoco latte con riso, scorza limone, vaniglia e porta il riso a cottura. Quando il riso è verso fine cottura, in un tegame a parte fare sciogliere lo zucchero, senza bruciarlo, fino a farlo diventare un caramello "biondo". Questo caramello va mescolato con il composto di latte e riso finchè entrambi sono bollenti.
Unire poi cedro e mandorle tritati fini ma non in polvere (si devono sentire mangiando la torta) e il cacao: a questo punto eliminare dal composto vaniglia (se stecca) e scorza di limone. Laciare raffreddare il tutto.
Sbattere le uova a parte con la forchetta (non con il frullatore altrimenti si produce schiuma che rovinerebbe il tutto) e unirle al composto già freddo.
La quantità di composto indicata serve per realizzare 3 tortiere rettangolari di stagnola della misura di cm 23x18 del peso (a crudo) di circa 600 gr. cad. Tutto ciò serve per ottenere una torta non troppo alta: la torta di riso, per sua caratteristica, deve essere non oltre i 3 cm di altezza.
Infornare in forno caldo a 180° per un'ora: prima di sfornare comunque provare con uno stecchino al centro che deve uscire asciutto.
Lasciare raffreddare e poi spruzzare in superficie (senza esagerare) con Mandorla Amara per lucidarla e darle profumo.
Va tenuta in frigorifero e servita a piccoli rombi infilzati con uno stuzzicandenti che servirà per prendersi le piccole porzioni e mangiare direttamente (se si fosse in difficoltà con questo sistema che è quello tradizionale per servirla, basta comporre sul piattino 2 o tre piccoli rombi che si mangeranno con la forchettina da dolci).

ZUPPA IMPERIALE detta anche minestra fritta, tipica di Bologna
dose per 1 uovo
1 UOVO
20 GR PARMIGGIANO GRATTUGGIATO
15 GR BURRO + 1 NOCE
30 GR SEMOLINO
NOCE MOSCATA
1 PRESA DI SALE FINO

n.b. con una "frittata" di 2 uova si servono 3 porzioni.
è sempre meglio farne almeno 2 uova per volta perchè con 2 uova si fa appunto una frittatina per una padella di 22 cm di diametro con lo spessore di 1 cm (non deve essere più alta).
In una ciotola sbattere prima le uova con il sale ed una grattuggiata di noce moscata, poi aggiungere sempre sbattendo, il parmiggiano, poi il semolino e da ultimo il burro fuso e tiepido.
Con la noce di burro ungere la padella antiaderente e quando è ben calda versarvi il composto: la fiamma per la cottura deve essere media, il composto deve dorare ma non diventare troppo scuro,per dorare intendo un po' più scuro del colore delle uova, appena appena marroncino. Girarla e fare dorare anche dall'altra parte, poi quando sarà rappresa completamente appoggiare su carta assorbente (megio la carta gialla per fritti perchè lo scottex tende ad attaccarsi).La si lascia raffreddare e con un coltello lungo ed affilato si taglia prima a striscie poi si riducono le striscie a quadratini il cui lato sarà di mqzzo centimetro, non oltre perchè poi in cottura gonfia un po'.
Quasti cubetti vanno cotti presto oppure congelati racchiudendoli in sacchetti da freezer: se si decide di congelarli, vanno poi tuffati nel brodo in ebollizione ancora congelati.
La cottura va fatta in brodo di carne, possibilmente un buon brodo, di manzo e gallina, o anche di cappone, l'importante è che sia vero brodo: quando il brodo bolle si butta la zuppa e si lascia cuocere 8-10 minuti, poi si spegne il fornello, si lascia riposare 2-3 minuti e si serve nelle scodelle (da noi è il piatto fondo per minestre), volendo si cosparge di parmiggiano, poco perchè è già nell'impasto.

BRODO ovvero LA PENTOLA (dalla casa della Luisa)
800 gr di carne (falata e doppione di manzo, e anche qui non so i nomi dei tagli in italiano, 1 pezzo di osso di gamba)
1/4 di gallina (o cappone se è il brodo per Natale)
1 gamba di sedano
1 carota
1 cipollina
2 pomodori rossi (vanno bene anche i pelati o quelli surgelati)
4 litri circa di acqua fredda
sale grosso

Si mette tutto nella pentola a freddo, lasciando da parte solo la gallina: la gallina, dice la Luisa, va aggiunta dopo avere schiumato il brodo, ossia quando viene a galla la schiuma scura che fa la carne e l'avremo tolta, allora si maette la gallina.
Totale bollitura, deve bollire adagio e coperto, ore 4.
Filtrare e assaggiare aggiustando di sale, se occorre, oppure, se il brodo "sa di poco", mettere un pezzetto di dado.

FRITTELLE DI RISO della QUARESIMA (dalla Luisa)
Cuocere 150 grammi di riso a chicchi grossi (quelli che gonfiano molto) in un litro di latte con un pezzetto di scorza di limone, facendo bollire fino a che ha assorbito quasi tutto il latte.
Togliere dal fuoco e lasciare freddare.
Poi aggiungere 2-3 uova intere sbattute a parte e 100 gr di zucchero, mescolare bene. Prendere dal composto delle cucchiaiate e farle cadere nell'olio (meglio di semi, buono) bollente, farle dorare dalle 2 parti poi mettere su carta per fritti un attimo. Spolverizzare con zucchero semolato.

RIPIENO PER TORTELLINI (dalla Luisa)
nota= 1 etto di ripieno serve per 1 uovo di sfoglia, se si fanno i tortellini piccini come vanno fatti; se invece si fanno i tortellini più grandi occorre più ripieno.
2 etti lombo di maiale
1 etto mortadella (quella buona, tagliata dalle mortadelle grosse)
1 etto di scanello di manzo (non so il nome della carne in italiano)
2 uova grandi
4 cucchiai di parmigiano
sale
noce moscata
scottare il lombo in padella con poco burro poi macinarlo (al tritacarne) insieme alla mortadella e allo scanello, mettere il macinato in una terrina e unire tutti gli altri ingredienti, assaggiando alla fine per regolare il sale e il parmigiano: il ripieno deve essere buono anche da mangiare così (quando facciamo i tortellini questo è il mio compito, slurp) e abbastanza sodo da prenderne dei pizzicotti da riempire i tortellini.