di Gigiotta



L'ALLUMINIO

Più della metà (52 per cento) di tutti i tegami venduti oggi è fatto di alluminio. Ma la maggior parte di questi sono dotati di rivestimento antiaderente o sono trattati con un processo che altera ed indurisce la struttura del metallo, cioè sono di alluminio anodizzato.
L’alluminio conduce il calore 3 volte più della ghisa, 5 volte più del ferro, 9 volte più dell'acciaio inox, 28 volte più del vetro.
A contatto con l'aria, si ricopre rapidamente di un velo di ossido trasparente e molto resistente, che protegge la superficie dall'effetto di agenti corrosivi e dalla formazione di ruggine.
Pur essendo stato identificato per la prima volta all'inizio del 1800, ci vollero ancora molti anni perché si giungesse all'estrazione sistematica dell'alluminio: solo nel 1886 Paul Louis Héroult in Francia e Charles Martin Hall negli Stati Uniti idearono quasi contemporaneamente un sistema, che non è variato molto da allora, per produrre alluminio su scala industriale.
Il materiale di partenza è la bauxite, minerale che contiene alluminio sotto forma di ossido: da questo minerale macinato, scaldato con vapore e soda caustica poi sottoposto ad altri trattamenti chimici, si ottiene alluminio con vari gradi di purezza.

Leggero e buon conduttore termico, decenni fa era considerato un materiale economico.
Oggi è più apprezzato grazie a tecnologie evolute di lavorazione che lo rendono più levigato, resistente alle scalfitture e più facile da pulire: non a caso, l'alluminio è adoperato nelle cucine professionali.
Per bollire è corretto l'uso del metallo a vista, per altre cotture è molto indicato l'alluminio rivestito con pellicola antiaderente, che permette di cuocere senza grassi.
Negli anni 70 molti consumatori eliminarono i loro tegami di alluminio in seguito alla segnalazione di alcuni ricercatori canadesi, secondo cui nel cervello di pazienti, deceduti in seguito al morbo di Alzheimer, erano rilevabili livelli anormalmente elevati di alluminio.
Subito nel campo della ricerca si sollevò un’accesa polemica, riguardante l’alluminio, se questi alti livelli fossero causa o effetto della malattia.
I ricercatori ancora stanno studiando il collegamento fra alluminio e la malattia del Alzheimer.
Ma secondo Creighton Phelps, direttore dell’associazione statunitense del morbo di Alzheimer, e Pearl e Brody, che hanno messo a punto una tecnica sensibile per rilevare la presenza di questo metallo nelle cellule, dati recenti sostengono la teoria secondo cui sono i cervelli già danneggiati dalla malattia di Alzheimer che potrebbero consentire l'entrata dei livelli anormalmente elevati di alluminio.
John Koning, del Riverside General Hospital a Corona, California, fece uno studio specifico sull’argomento e verificò che la maggior parte dell’alluminio ingerito è rilevabile nelle feci (quindi non viene accumulato dall’organismo) e che una persona che utilizzi farmaci antiacidi (molto utilizzati da chi soffre di gastrite o ulcera), ne ingerisce (ed elimina) molto di più di chi utilizza abitualmente tegami di alluminio.
La FDA precisa che l'alluminio è ubiquitario.
È il terzo elemento più abbondante nella crosta terrestre (dopo ossigeno e silicio). È in aria, in acqua, nel terreno ed anche nelle piante e negli animali di cui ci nutriamo. L’assunzione giornaliera di alluminio nell’uomo varia da 5 a 30 mg/die, con una media di circa 20 mg/die. L’organismo normalmente mantiene un equilibrio tra l’alluminio presente nei tessuti e quello incamerato per cui ne assorbe molto poco eliminandolo per lo più attraverso le feci. Con assunzioni superiori ai 100 mg però si verifica ritenzione e accumulo (soprattutto nelle ossa e nei polmoni). Molti farmaci da banco contengono alluminio: una pastiglia di antiacido può contenere 50 milligrammi di alluminio o più. Non è insolito per chiunque usi abitualmente questi farmaci, ingerire più di 1.000 milligrammi, cioè 1 grammo, di alluminio al giorno. Una pastiglia di aspirina tamponata può contenere circa 10 - 20 milligrammi di alluminio.
Dall’altra parte se tutti usassimo soltanto tegami di alluminio per cuocere i cibi e unicamente vaschette di alluminio per la loro conservazione, ogni giorno ne assumeremmo al massimo 3,5 milligrammi.
Alla luce di tutto ciò, se ne deduce che è virtualmente impossibile evitare l’ingestione di alluminio ma anche che l’alluminio rilasciato dalle pentole negli alimenti è relativamente minimo e non causa danni alla salute.

I produttori di tegami d’alluminio avvertono che conservando gli alimenti altamente acidi o salati in questi contenitori, il metallo viene rilasciato nei cibi più facilmente. La permanenza prolungata nel recipiente di alcuni alimenti (cipolla, pomodoro, spinaci, ecc.) ne può alterare il colore ed il sapore; la cottura in acqua di certi alimenti annerisce l'utensile, come pure si anneriscono quelle preparazioni che richiedono l'impiego della frusta (per esempio, salsa bechamel, olandese, bearnese, crema inglese).
Prima di utilizzare i recipienti di alluminio nuovi occorre farvi bollire dei liquidi grassi come brodo o latte; si lava con acqua calda e detergente; non usare la paglietta metallica, ma una spazzola o un panno di nylon non abrasivo. Il fondo esterno si può pulire con prodotti leggermente abrasivi.