Vi trascrivo la trasmissione di oggi "Vita nei Campi" su Rai Radio1 del Friuli Venezia Giulia dove parlavo di riutilizzo di focacce, pandori e panettoni. Ricordo che anche Sergio Salomoni, su La Cucina Italiana, ne aveva parlato molti anni fa
7 Gennaio 2017
9. Ricicliamo panettoni e pandori avanzati con il budino diplomatico
L’Epifania porta via solo le feste, ma non ciò che rimane dei panettoni e pandori delle festività da poco concluse. A dire il vero la tradizione meneghina prevede che l’ultimo panettone sia mangiato a San Biagio il 3 febbraio, dopo la festa della Candelora. La ricetta che vi propongo oggi affonda le radici nelle povere preparazioni a base di pane della nostra tradizione, dove anche il pane vecchio era sacro e non si buttava mai: già nel ‘400 il Maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia nel Libro de Arte Coquinaria riporta una suppa dorata, termine che si riflette nel friulano attuale sopis doradis, cioè fette di pane raffermo imbevute in latte, uova, zucchero ed aromi e poi fritte nel burro. Nella Venezia Giulia sono note come Snite o snìtis, nome che tradisce chiaramente l’origine austriaca da Schnitte “fetta”. Il pane fritto è un dolce comune a molti altri territori del Nord d’Italia, cugino del pain perdu francese, diffuso anche in Istria dove a Fiume è chiamato Làndize. In Carnia li’ sopis, una volta fritte, venivano inzuppate nella bulìde, una specie di vin cotto speziato e questa versione è simile alle sope di cjavàl, un tempo prescritte alle puerpere come corroborante. Nel ricettario di Caterina Prato si usa il pan nero per una torta e anche la Contessa Perusini annovera sia una torta di pan di segale che un budino di pane e uno di focaccia.
Il budino che vi presento oggi ha il nome altisonante di budino diplomatico. In gastronomia l’aggettivo diplomatico è però caratteristico di una millefoglie alla crema con all’interno del pandispagna. L’attestazione forse più famosa di questa ricetta è data dall’Artusi che la chiama “Budino Gabinetto”, e dice “un budino che sa di diplomazia”. Infatti il termine gabinetto, dal francese cabinet, è inteso come gabinetto di governo. Il budino di panettone, chiamato “el budin de la serva” nella tradizione lombarda, pur essendo una soluzione per riciclare gli avanzi dopo i bagordi delle feste, è un dessert molto buono, sia nel sapore che nella consistenza, che non sfigura affatto in un pranzo elegante, tanto che l’Artusi propone di realizzarlo appositamente con biscotti savoiardi.
Caramellate uno stampo da savarin, rotondo con il buco in mezzo e riempitelo poi con cubetti di panettone, o pandoro o pinza o savoiardi, inframezzati da amaretti, uvetta e canditi. Spruzzate con rum o alchermes e versate sopra una crema, tipo creme caramel, fatta mescolando, senza sbattere, 5 uova con 100 g di zucchero e un litro di latte caldo. Cuocete in forno in un bagnomaria caldo a 140° per almeno un’ora. Quando è freddo rovesciatelo su un piatto e servirlo con panna montata.
Buon appetito!
7 Gennaio 2017
9. Ricicliamo panettoni e pandori avanzati con il budino diplomatico
L’Epifania porta via solo le feste, ma non ciò che rimane dei panettoni e pandori delle festività da poco concluse. A dire il vero la tradizione meneghina prevede che l’ultimo panettone sia mangiato a San Biagio il 3 febbraio, dopo la festa della Candelora. La ricetta che vi propongo oggi affonda le radici nelle povere preparazioni a base di pane della nostra tradizione, dove anche il pane vecchio era sacro e non si buttava mai: già nel ‘400 il Maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia nel Libro de Arte Coquinaria riporta una suppa dorata, termine che si riflette nel friulano attuale sopis doradis, cioè fette di pane raffermo imbevute in latte, uova, zucchero ed aromi e poi fritte nel burro. Nella Venezia Giulia sono note come Snite o snìtis, nome che tradisce chiaramente l’origine austriaca da Schnitte “fetta”. Il pane fritto è un dolce comune a molti altri territori del Nord d’Italia, cugino del pain perdu francese, diffuso anche in Istria dove a Fiume è chiamato Làndize. In Carnia li’ sopis, una volta fritte, venivano inzuppate nella bulìde, una specie di vin cotto speziato e questa versione è simile alle sope di cjavàl, un tempo prescritte alle puerpere come corroborante. Nel ricettario di Caterina Prato si usa il pan nero per una torta e anche la Contessa Perusini annovera sia una torta di pan di segale che un budino di pane e uno di focaccia.
Il budino che vi presento oggi ha il nome altisonante di budino diplomatico. In gastronomia l’aggettivo diplomatico è però caratteristico di una millefoglie alla crema con all’interno del pandispagna. L’attestazione forse più famosa di questa ricetta è data dall’Artusi che la chiama “Budino Gabinetto”, e dice “un budino che sa di diplomazia”. Infatti il termine gabinetto, dal francese cabinet, è inteso come gabinetto di governo. Il budino di panettone, chiamato “el budin de la serva” nella tradizione lombarda, pur essendo una soluzione per riciclare gli avanzi dopo i bagordi delle feste, è un dessert molto buono, sia nel sapore che nella consistenza, che non sfigura affatto in un pranzo elegante, tanto che l’Artusi propone di realizzarlo appositamente con biscotti savoiardi.
Caramellate uno stampo da savarin, rotondo con il buco in mezzo e riempitelo poi con cubetti di panettone, o pandoro o pinza o savoiardi, inframezzati da amaretti, uvetta e canditi. Spruzzate con rum o alchermes e versate sopra una crema, tipo creme caramel, fatta mescolando, senza sbattere, 5 uova con 100 g di zucchero e un litro di latte caldo. Cuocete in forno in un bagnomaria caldo a 140° per almeno un’ora. Quando è freddo rovesciatelo su un piatto e servirlo con panna montata.
Buon appetito!
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