Allego il testo della mia trasmssione di oggi sulla polenta perfetta, andato in onda su RAI RADIO1 Friuli Venezia Giulia
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La polenta perfetta
Comincia a far freddo e si riscoprono i cibi caldi e grassi di conforto, sempre accompagnati dalla tradizionale polenta. Questa, in Carnia, in un tempo di grande povertà, era consumata da sola, come ci ricordava Piero Adami, mentre oggi accompagna salumi, pensiamo alla soppressa o al salam ta l’asêt (salame fresco a fette cotto con aceto), formaggi, salsicce, coste, selvaggina, pesci e perfino foie gras e tartufi! Una volta, se avanzava, costituiva l’unico piatto della sera con latte caldo, zucchero e a piacimento cannella.
La polenta è un alimento la cui storia si perde nella notte dei tempi: era già presente al tempo dei romani realizzata allora con fave, orzo, spelta, saggina, grano saraceno, o farro. Nel ricettario di Apicio, oltre alla friulana brovàda, troviamo anche delle pultes iulianae, polente condite, cioè polente cuinzade, che la Contessa Perusini attribuisce alle nostre zone (friuli).
Preparare una polenta a regola d'arte è semplice, è una questione di proporzioni e di tempi, di farina, di pentola e di sale. In una vita sempre più frenetica, alla costante ricerca di scorciatoie per accorciare i tempi di tutto, anche delle ricette, dobbiamo ricordare che alcuni piatti della tradizione meritano al contrario di essere preparati come facevano le nostre nonne, con calma e passione. È il caso della polenta, che ha bisogno di pazienza per cuocere bene perché se cotta a lungo è più digeribile e gustosa. Lasciate quindi da parte farine precotte e polente già pronte, e in un paiolo rigorosamente di rame, quando l’acqua salata bolle, anzi un attimo prima, versate a pioggia la farina dopo aver creato un vortice nell’acqua per non far grumi con la “mazze de polente”, il mestolo di legno di faggio. Il segreto è quello di mescolare continuamente, lentamente, a lungo, mentre piano piano si addensa e cuoce. Resistete per almeno un’ora. In Istria c’è il detto “meio che la polenta bòi in caldìera, che no in panza de la messera” (ndr è meglio che la polenta bolla nel calderone che nella pancia della cuoca). E la polenta è cotta quando non attacca più al mescul (mestolo), infatti il proverbio dice “no la se cota se la taca, la xe cota se non la taca” (ndr non è cotta se attacca, è cotta se nin attacca). Se la cuocete sul fogolàr, fate fare “l’ultime sflamade”, cioè l’ultima fiammata, perché si stacchi bene dal fondo del paiolo nel scodellarla sul tagliere. Secondo Piero Adami la polenta è tradizionalmente molto consistente in montagna in Carnia e man mano che si scende in pianura la polenta preferita diventa più tenera.
Trattatevi bene, non scegliete una farina qualunque, usate una bramata di mais locale come la blave di Mortean o una di mais friulano biancoperla, più delicata e dal profumo meno deciso per accompagnarla con pesce o seppie. Concedersi il lusso di andare a occhio è consentito soltanto ai veterani della polenta: per tutti gli altri, le dosi medie sono 4 litri d’acqua per ogni kg di farina, tenendo presente che più la farina è grezza, più assorbirà acqua.
Ricordate di perpetuare la tradizione di tagliarla con il filo dopo aver fatto con questo la croce, accompagnate con un bon toc’ e …..Buon appetito! (il toc' è il sugo)
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La polenta perfetta
Comincia a far freddo e si riscoprono i cibi caldi e grassi di conforto, sempre accompagnati dalla tradizionale polenta. Questa, in Carnia, in un tempo di grande povertà, era consumata da sola, come ci ricordava Piero Adami, mentre oggi accompagna salumi, pensiamo alla soppressa o al salam ta l’asêt (salame fresco a fette cotto con aceto), formaggi, salsicce, coste, selvaggina, pesci e perfino foie gras e tartufi! Una volta, se avanzava, costituiva l’unico piatto della sera con latte caldo, zucchero e a piacimento cannella.
La polenta è un alimento la cui storia si perde nella notte dei tempi: era già presente al tempo dei romani realizzata allora con fave, orzo, spelta, saggina, grano saraceno, o farro. Nel ricettario di Apicio, oltre alla friulana brovàda, troviamo anche delle pultes iulianae, polente condite, cioè polente cuinzade, che la Contessa Perusini attribuisce alle nostre zone (friuli).
Preparare una polenta a regola d'arte è semplice, è una questione di proporzioni e di tempi, di farina, di pentola e di sale. In una vita sempre più frenetica, alla costante ricerca di scorciatoie per accorciare i tempi di tutto, anche delle ricette, dobbiamo ricordare che alcuni piatti della tradizione meritano al contrario di essere preparati come facevano le nostre nonne, con calma e passione. È il caso della polenta, che ha bisogno di pazienza per cuocere bene perché se cotta a lungo è più digeribile e gustosa. Lasciate quindi da parte farine precotte e polente già pronte, e in un paiolo rigorosamente di rame, quando l’acqua salata bolle, anzi un attimo prima, versate a pioggia la farina dopo aver creato un vortice nell’acqua per non far grumi con la “mazze de polente”, il mestolo di legno di faggio. Il segreto è quello di mescolare continuamente, lentamente, a lungo, mentre piano piano si addensa e cuoce. Resistete per almeno un’ora. In Istria c’è il detto “meio che la polenta bòi in caldìera, che no in panza de la messera” (ndr è meglio che la polenta bolla nel calderone che nella pancia della cuoca). E la polenta è cotta quando non attacca più al mescul (mestolo), infatti il proverbio dice “no la se cota se la taca, la xe cota se non la taca” (ndr non è cotta se attacca, è cotta se nin attacca). Se la cuocete sul fogolàr, fate fare “l’ultime sflamade”, cioè l’ultima fiammata, perché si stacchi bene dal fondo del paiolo nel scodellarla sul tagliere. Secondo Piero Adami la polenta è tradizionalmente molto consistente in montagna in Carnia e man mano che si scende in pianura la polenta preferita diventa più tenera.
Trattatevi bene, non scegliete una farina qualunque, usate una bramata di mais locale come la blave di Mortean o una di mais friulano biancoperla, più delicata e dal profumo meno deciso per accompagnarla con pesce o seppie. Concedersi il lusso di andare a occhio è consentito soltanto ai veterani della polenta: per tutti gli altri, le dosi medie sono 4 litri d’acqua per ogni kg di farina, tenendo presente che più la farina è grezza, più assorbirà acqua.
Ricordate di perpetuare la tradizione di tagliarla con il filo dopo aver fatto con questo la croce, accompagnate con un bon toc’ e …..Buon appetito! (il toc' è il sugo)
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