Ovvero le "chiacchiere non servono ad impastare frittelle".
Oggi nelle mia trasmissione su RAI RADIO1 FriuliVenezia Giulia ho voluto dare la ricetta delle frittelle di ricotta di Graziana!
Fr'tole di Graziana.jpg
forse non serve la traduzione completa
Co le ciàcole non se impasta frìtole
“Xe un dolce de casa, più vecio del cuco (persona sciocca), nissun mamaluco pol dirme de no, no ocori risete, no ocori programa, qualunque sia mama le sa preparar. Ua passa e farina, pignoi e sedrini; e veci e bambini le brama de ver. Ne l’oio ben caldo rotonde sgionfete par tante balete che nuda sul mar”. Questa filastrocca triestina ci ricorda le frittelle di Carnevale, la cui stagione era già iniziata a Natale secondo il detto “per Nadàl frìtole, per Pasqua pinze e tìtole”. Le “frìtole” sono presenti in regione fin dai tempi della deduzione di Aquileia del 181 a.C., anche se le frìtole dei nostri giorni potrebbero essere definite un “dolce di ritorno” dato che la ricetta attuale a base di lievito è diversa da quella dei globi romani del Liber de Agricoltura di Marco Porcio Catone. La ricetta corrente, affinata poi in Oriente con le zelebia, ci è giunta da Venezia dove è arrivata tramite Giambonino da Cremona con il suo Liber de ferculis del XIII secolo e da allora è rimasta pressoché invariata. A Trieste nel ‘400 in occasione di “Chorte nova”, cioè l’entrata ogni 4 mesi dei nuovi ufficiali del Comune, si faceva una festa pubblica con distribuzione di frittelle. Nei resoconti di viaggio di fine 1400 in Carinzia e Carnìola di Paolo Santonino, cancelliere del Patriarcato di Aquileia, sono menzionate le famose “frittelle piene di vento”, descritte anche dal Maestro Martino. Santonino in tedesco le chiama “Nonnenfurzen”, cioè “peti di monaca”, termine che viene ripreso da molti testi rinascimentali e manoscritti di cucina di conventi di area germanica. Nel 1619 a Venezia venne creata perfino la “Corporazione dei fritoleri”, composta da 70 membri, per difendere il mestiere e per aver diritto a tramandarlo ai figli. E Carlo Goldoni fa di una fritolèra la protagonista della commedia “Il Campiello” e Pietro Longhi dipinge una famosa tela chiamata “la venditrice di fritole”.
Si dice comunque che “le frìtole xe come le putele, più se ne fa, e più le xe bele”, ma anche “le fritole xe come le done: se no le xe tonde e un poco grassote no le xe bone”. Siccome però “le ciàcole no impasta frìtole”, vi racconto subito la ricetta delle splendide “frìtole de ricota” di Graziana di Trieste.
In un mixer mettete 3 uova, 2 etti di farina, un cucchiaio di frumina,5 cucchiai di zucchero, 5 cucchiai di rum, una bustina di lievito e 3 etti di ricotta. Frullate per un minuto e aggiungete a mano un etto di uvetta rinvenuta in acqua calda e dei pinoli. In una pentola capiente con olio di semi caldo friggete l’impasto preso con un cucchiaino. Quando sono dorate giratele e fatele ridorare. Scolatele e mettetele su carta per fritti. Si servono con zucchero a velo.
Buon appetito !
Cara Graziana GRAZIE !!
Oggi nelle mia trasmissione su RAI RADIO1 FriuliVenezia Giulia ho voluto dare la ricetta delle frittelle di ricotta di Graziana!
Fr'tole di Graziana.jpg
forse non serve la traduzione completa
Co le ciàcole non se impasta frìtole
“Xe un dolce de casa, più vecio del cuco (persona sciocca), nissun mamaluco pol dirme de no, no ocori risete, no ocori programa, qualunque sia mama le sa preparar. Ua passa e farina, pignoi e sedrini; e veci e bambini le brama de ver. Ne l’oio ben caldo rotonde sgionfete par tante balete che nuda sul mar”. Questa filastrocca triestina ci ricorda le frittelle di Carnevale, la cui stagione era già iniziata a Natale secondo il detto “per Nadàl frìtole, per Pasqua pinze e tìtole”. Le “frìtole” sono presenti in regione fin dai tempi della deduzione di Aquileia del 181 a.C., anche se le frìtole dei nostri giorni potrebbero essere definite un “dolce di ritorno” dato che la ricetta attuale a base di lievito è diversa da quella dei globi romani del Liber de Agricoltura di Marco Porcio Catone. La ricetta corrente, affinata poi in Oriente con le zelebia, ci è giunta da Venezia dove è arrivata tramite Giambonino da Cremona con il suo Liber de ferculis del XIII secolo e da allora è rimasta pressoché invariata. A Trieste nel ‘400 in occasione di “Chorte nova”, cioè l’entrata ogni 4 mesi dei nuovi ufficiali del Comune, si faceva una festa pubblica con distribuzione di frittelle. Nei resoconti di viaggio di fine 1400 in Carinzia e Carnìola di Paolo Santonino, cancelliere del Patriarcato di Aquileia, sono menzionate le famose “frittelle piene di vento”, descritte anche dal Maestro Martino. Santonino in tedesco le chiama “Nonnenfurzen”, cioè “peti di monaca”, termine che viene ripreso da molti testi rinascimentali e manoscritti di cucina di conventi di area germanica. Nel 1619 a Venezia venne creata perfino la “Corporazione dei fritoleri”, composta da 70 membri, per difendere il mestiere e per aver diritto a tramandarlo ai figli. E Carlo Goldoni fa di una fritolèra la protagonista della commedia “Il Campiello” e Pietro Longhi dipinge una famosa tela chiamata “la venditrice di fritole”.
Si dice comunque che “le frìtole xe come le putele, più se ne fa, e più le xe bele”, ma anche “le fritole xe come le done: se no le xe tonde e un poco grassote no le xe bone”. Siccome però “le ciàcole no impasta frìtole”, vi racconto subito la ricetta delle splendide “frìtole de ricota” di Graziana di Trieste.
In un mixer mettete 3 uova, 2 etti di farina, un cucchiaio di frumina,5 cucchiai di zucchero, 5 cucchiai di rum, una bustina di lievito e 3 etti di ricotta. Frullate per un minuto e aggiungete a mano un etto di uvetta rinvenuta in acqua calda e dei pinoli. In una pentola capiente con olio di semi caldo friggete l’impasto preso con un cucchiaino. Quando sono dorate giratele e fatele ridorare. Scolatele e mettetele su carta per fritti. Si servono con zucchero a velo.
Buon appetito !
Cara Graziana GRAZIE !!
Commenta