Care Amiche cari Amici, allego il mio intervento di oggi su RAI Radio1 FriuliVeneziaGiulia
petorai.jpg peri petorai 5.JPG Peraler.jpg
Con il freddo sentiamo il bisogno di bevande e cibi corroboranti, quelli che la moda oggi chiama comfort food. Cioè cibo che ha la capacità di soddisfare non solo un bisogno fisico ma anche uno emotivo, cibo che dà tepore al corpo, ristora l’anima e ci fa sentire protetti e coccolati. È’ quindi chiaro che non esiste un comfort food adatto a tutti, ognuno di noi sopperisce alle proprie debolezze con un cibo legato a sensazioni personali, come lo zabaione cremoso della mamma o quella torta di mele profumata della zia. I nostri nonni però non potevano permettersi di essere sofisticati e ricercavano conforto anche solo in un punch caldo, in un buon vin brulè speziato, ma anche nei “petorài caldi”.
Parlo di piccole pere che una volta, a Trieste e a Gorizia, erano vendute sia per strada sia negli intervalli nei cinematografi al grido di “petorài caldi, boni, peri coti”. Il caratteristico venditore ambulante, il “petoraler”, era vestito con un grembiule di cuoio e con delle cinghie reggeva a tracolla un recipiente di rame pieno di pere cotte, caramellate e fumanti, infilzate a due o tre in bastoncini di canna. Oggi non si potrebbe più vendere così perché sicuramente si andrebbe incontro a tutta una sfilza di prescrizioni igieniche e fiscali! Il nome “petorai” deriva forse dalla convinzione che mangiati cotti e caldi facessero bene al petto ed alla tosse nelle affezioni dell’apparato respiratorio.
I peri “petoraì” sono un frutto invernale antico, sono note le varietà “petorai di Faedis”, di Cialla e di Prepotto. In verità sono una classe eterogena di pere da cuocere, principalmente ibridi di pero comune e pyrus nivalis, cioè le famose pere volpine, di piccola pezzatura, dall’aspetto non molto attraente, dalla buccia ruvida rugginosa, la polpa soda, granulosa e ricca di tannini, poco succose, scarse di zuccheri e che si possono consumare solo cotte. Pere volpine per il fatto che sembra che le volpi ne vadano matte, mentre in tedesco si chiamano invece curiosamente “Wolfsbirne”, pere dei lupi.
Mady Fast riporta due ricette per la loro cottura al forno, la prima con l’impiego di acqua e la seconda con vino. Potete però cuocerle anche in tegame, in piedi, non sbucciate e con il picciolo. Per un kg di pere mettete ½ litro di vino o di acqua che le copra bene, 10 cucchiai di zucchero, stecca di cannella, qualche chiodo di garofano e un po’ si scorza di limone e arancia. Cuocete coperto fino a che diventano morbide e il sugo sciropposo, denso e caramellato. Vanno servite tiepide, magari con gelato alla vaniglia, ma si potrebbero anche arditamente accompagnare a formaggi piccanti.
Buon appetito!
petorai.jpg peri petorai 5.JPG Peraler.jpg
Con il freddo sentiamo il bisogno di bevande e cibi corroboranti, quelli che la moda oggi chiama comfort food. Cioè cibo che ha la capacità di soddisfare non solo un bisogno fisico ma anche uno emotivo, cibo che dà tepore al corpo, ristora l’anima e ci fa sentire protetti e coccolati. È’ quindi chiaro che non esiste un comfort food adatto a tutti, ognuno di noi sopperisce alle proprie debolezze con un cibo legato a sensazioni personali, come lo zabaione cremoso della mamma o quella torta di mele profumata della zia. I nostri nonni però non potevano permettersi di essere sofisticati e ricercavano conforto anche solo in un punch caldo, in un buon vin brulè speziato, ma anche nei “petorài caldi”.
Parlo di piccole pere che una volta, a Trieste e a Gorizia, erano vendute sia per strada sia negli intervalli nei cinematografi al grido di “petorài caldi, boni, peri coti”. Il caratteristico venditore ambulante, il “petoraler”, era vestito con un grembiule di cuoio e con delle cinghie reggeva a tracolla un recipiente di rame pieno di pere cotte, caramellate e fumanti, infilzate a due o tre in bastoncini di canna. Oggi non si potrebbe più vendere così perché sicuramente si andrebbe incontro a tutta una sfilza di prescrizioni igieniche e fiscali! Il nome “petorai” deriva forse dalla convinzione che mangiati cotti e caldi facessero bene al petto ed alla tosse nelle affezioni dell’apparato respiratorio.
I peri “petoraì” sono un frutto invernale antico, sono note le varietà “petorai di Faedis”, di Cialla e di Prepotto. In verità sono una classe eterogena di pere da cuocere, principalmente ibridi di pero comune e pyrus nivalis, cioè le famose pere volpine, di piccola pezzatura, dall’aspetto non molto attraente, dalla buccia ruvida rugginosa, la polpa soda, granulosa e ricca di tannini, poco succose, scarse di zuccheri e che si possono consumare solo cotte. Pere volpine per il fatto che sembra che le volpi ne vadano matte, mentre in tedesco si chiamano invece curiosamente “Wolfsbirne”, pere dei lupi.
Mady Fast riporta due ricette per la loro cottura al forno, la prima con l’impiego di acqua e la seconda con vino. Potete però cuocerle anche in tegame, in piedi, non sbucciate e con il picciolo. Per un kg di pere mettete ½ litro di vino o di acqua che le copra bene, 10 cucchiai di zucchero, stecca di cannella, qualche chiodo di garofano e un po’ si scorza di limone e arancia. Cuocete coperto fino a che diventano morbide e il sugo sciropposo, denso e caramellato. Vanno servite tiepide, magari con gelato alla vaniglia, ma si potrebbero anche arditamente accompagnare a formaggi piccanti.
Buon appetito!
Commenta