La prima cosa che mi ha colpito di Cesare Pavese è stata una coincidenza: si è suicidato il 27 agosto, che è il giorno del mio compleanno.
Visto che le coincidenze mi piacciono, anche se non gli attribuisco chissà che significati, nella lista dei libri di lettura consigliati al termine della prima liceo ho scelto "La bella estate". Ho scoperto così uno dei miei "mai più senza", come direbbe mia figlia.
Ho letto poi molto di lui, affascinata dal sentirlo vicino, ma mai del tutto, e questo "scostamento" è sempre stato più acuto nelle sue poesie.
Non fa eccezione questa, che si intitola "Estate", ma che a me, fin da subito, ha fatto pensare ai melograni, come quelli che ho raccolto ieri.
Buona settimana!


C’è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.

Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un’erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d’aria
e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.

Ascolti.
Le parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.