visto che si avvicina il periodo ed i topic cominciano a pasqueggiare, ho fatto un pò di ricerche ed ecco cosa ho tirato fuori, molto interessante, secondo me.
L’origine della Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera.
La leggenda e' legata al mito della Sirena Partenope.
Si narra che la sirena, incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu così melodiosa che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti e accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto.
Fu così che le genti che abitavano il golfo vollero renderle omaggio regalandole i doni della loro terra.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope:
la farina, forza e ricchezza della campagna ;
la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle;
le uova, simbolo della vita che si rinnova;
il grano tenero, bollito nel latte, simbolo dei due regni della natura;
l'acqua di fiori d'arancio, il profumo della terra;
le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo;
lo zucchero, per esprimere la dolcezza profusa dal suo canto.
La sirena, felice per tanti doni, s’inabissò per fare ritorno nel suo regno e depose le preziose offerte ai piedi degli dei.
Questi riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza e bontà il canto della stessa Partenope.
Un’altra leggenda racconta di un dolce di riconciliazione con le forze della natura, preparato da una sirena con i doni offertile in ringraziamento dalle spose di sette marinai da essa salvati da una tempesta: una ricotta freschissima, un fascio di spighe di grano, un cesto di uova, un vasetto di miele, un ramoscello di fiori d’arancio, un paniere di farina, della frutta candita.
In epoca romana un dolce simile alla pastiera, accompagnava le feste pagane del ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente.
Un'altra ipotesi fa risalire la pastiera all'epoca paleocristiana, alle focacce rituali che si diffusero ai tempi di Costantino, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella notte di Pasqua, al termine della cerimonia battesimale. Dal grano o farro, misto alla crema di ricotta, potrebbe derivare il pane di farro delle nozze romane, dette appunto “confarratio”.
Nella Gatta Cenerentola, la nota fiaba di Giovan Battista Basile portata sulle scene dal Maestro Roberto de Simone, le pastiere e i casatielli fanno parte delle prelibatezze del pranzo finale.
Si racconta che Mariateresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accettò di assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".
A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e' jurnate zompettiando;
Mentr' invece a' mugliera, 'Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A' faccia appesa
O' musso luongo, nun redeva maje,
Comm'avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a' cammeriera
Le dicette: "Maestà, chest'è a' Pastiera.
Piace e' femmene, all'uommene e e'creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
'Mpastata insieme o' zucchero e a' farina
A può purtà nnanz o'Rre: e pur' a Rigina".
Maria Teresa facett a' faccia brutta:
pò l'assaggiaje, e sa fernette tutta.
Mastecanno, riceva: "E' o'Paraviso!"
E le scappava pure o' pizz'a riso.
Allora o' Rre dicette: "E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien'accà, damme n'abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c'o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d'adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n'at' anno!"
Infine la versione moderna: pare che il dolce sia stato inventato nella pace segreta di un monastero napoletano.
Una suora volle che quel dolce, simbolo della Resurrezione, avesse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla ricotta mescolò una manciata di grano, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di fiori odorosa come la primavera, il cedro e le spezie aromatiche venute dall'Asia.
Nella sua versione attuale, la pastiera fu probabilmente definita in un antico monastero napoletano rimasto ignoto: anche questa, tuttavia, è solo una supposizione, avvalorata dalla considerazione che nei tempi antichi l'onore di confezionare i dolci per le feste religiose spettava alle monache.
Le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano considerate vere maestre nella preparazione della pastiera, che nel periodo pasquale confezionavano in gran numero per rifornire la tavole dei nobili e della ricca borghesia; quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni, dalla porta del convento fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno, si spandeva nei bassi e dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore.
Il nome sembra derivare da un'abitudine che ha voluto per un certo periodo, che fosse utilizzata la pasta cotta al posto del grano; ci sono ancora famiglie che preparano la pastiera in casa utilizzando pasta del tipo capellini.
Ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, o della migliore ricetta della pastiera. Il gusto e' diverso ed ogni famiglia possiede il suo segreto.
Anzi, ogni famiglia ha la "sua" pastiera: con o senza crema, più o meno profumata, più o meno ricca di canditi. Composizione e dosaggi sono esclusivo patrimonio di famiglia, gelosamente custodito e tramandato di padre in figlio; difficile identificare una ricetta originale e autentica.
Quando le case non erano ancora dotate di forni come oggi, tra i rituali della Pasqua c’era anche quello di portare le pastiere al forno per la cottura, nonna, mamma e prole al seguito.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore e anche perché è un dolce che invecchiando migliora, si può conservare fino a dieci giorni, ma non in frigo perché altrimenti si rovinerebbe subito.
Ci sono, diciamo, due scuole: la più antica insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute;
La seconda, sicuramente innovatrice, raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace in una bottega di Piazza Municipio, non più esistente. Si dice anche che la pastiera con la crema sia una versione nata nella penisola sorrentina.
Dall'aggiunta di crema pasticciera nella costiera sorrentina, a quella di riso nel beneventano, a quella con i tagliolini che si prepara invece nel nolano, con le innovazioni della moda, si aggiunge per i più golosi anche del cioccolato.
Comune denominatore di ogni pastiera sono sicuramente tre elementi speciali che ne costituiscono il tratto distintivo.
Il primo è l'aroma di fiori d'arancio. Si ricava dalla macerazione e successiva distillazione dei fiori d'arancio della varietà Bigaradia (l'arancio amaro): è un'essenza molto profumata che in commercio si trova sia allo stato puro, con il nome di Neroli (e in questo caso ne bastano poche gocce), sia diluita sotto forma di "acqua". Il secondo è la ricotta.
Il terzo è il "grano bagnato.
In un epoca, nemmeno tanto remota, si usava fare così: si acquistava il grano sfuso che si vendeva nei sacchi di iuta, si metteva a bagno in acqua fredda per quindici giorni cambiando l’acqua ogni due giorni. Il grano così ottenuto andava poi scolato, dosato e cotto nel latte.
Oggi fortunatamente esistono in commercio dei comodissimi ed ottimi barattoli di grano cotto già pronto per l’uso.
Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.
E' molto importante la cottura, però.
La pastiera più che cuocersi deve "asciugarsi" altrimenti rischia
di prendere un sapore di uovo cotto abbastanza sgradevole.
Nel dubbio che non sia perfettamente asciutta, quindi,
è meglio allungare il tempo di cottura a bassa temperatura.
Per le ricette:
la pastiera di Anna Amalia
la pastiera di ellemir
la pastiera con la crema di marialetizia
la pastiera di rosaria rubino
in più qualche ricetta delle varie tradizioni locali campane
Pastiera di Riso
Ingredienti
1 l di latte intero
150 gr di riso per bolliti
4 cucchiai di zucchero
3 uova intere
1 tuorlo
400 g di ricotta
1 fialetta di essenza di fiori d'arancio
250 gr di zucchero
1 bustina di vanillina
2-3 limoni
1 arancio
frutta candita
pasta frolla
Far bollire il latte e poi stracuocere il riso con i 4 cucchiai di zucchero (abbondanti). Quando sarà cotto lasciar raffreddare il riso.
Lavorare la ricotta con lo zucchero, grattarvi dentro la buccia di 2-3 limoni (a seconda della grandezza) e 1 arancio, aggiungere il fiordarancio, la bustina di vanillina e la frutta candita; lavorare finché l'impasto non diventa cremoso. Aggiungere il riso freddo, montare gli albumi a neve e aggiungerli all'impasto.
Imburrare e infarinare la teglia e stendervi la pasta frolla, lasciandone un po' da parte. Versare l'impasto, pareggiarlo con un cucchiaio e fare delle strisce da mettere sopra come per una crostata. Infornare a 175°.
Pastiera di Maccheroni
Lessare in acqua leggermente salata 350g di spaghetti o fettuccine. A metà cottura scolarli e completare la cottura in 250g di latte bollente zuccherato e profumato con bucce sottilissime di arancia o limone. Aggiungere anche 50g di burro. Lasciar raffreddare.
Intanto in una terrina stemperate 450g di ricotta con 250g di zucchero, unire 5 uova ben frullate, una manciata di uva sultanina (ammollata in acqua calda), e della frutta candita tagliata a cubetti piccolissimi. Aggiungere i maccheroni, aroma di millefiori e di fior d’arancio, mescolare il tutto e versare in una teglia imburrate e infarinata oppure rivestita di pasta frolla. Cuocere in forno a 180° finché la superficie diventi dorata. Non farla asciugare troppo e servirla fredda.
[ 19.03.2004, 12:06: Messaggio modificato da: marialetizia ]
L’origine della Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera.
La leggenda e' legata al mito della Sirena Partenope.
Si narra che la sirena, incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu così melodiosa che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti e accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto.
Fu così che le genti che abitavano il golfo vollero renderle omaggio regalandole i doni della loro terra.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope:
la farina, forza e ricchezza della campagna ;
la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle;
le uova, simbolo della vita che si rinnova;
il grano tenero, bollito nel latte, simbolo dei due regni della natura;
l'acqua di fiori d'arancio, il profumo della terra;
le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo;
lo zucchero, per esprimere la dolcezza profusa dal suo canto.
La sirena, felice per tanti doni, s’inabissò per fare ritorno nel suo regno e depose le preziose offerte ai piedi degli dei.
Questi riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza e bontà il canto della stessa Partenope.
Un’altra leggenda racconta di un dolce di riconciliazione con le forze della natura, preparato da una sirena con i doni offertile in ringraziamento dalle spose di sette marinai da essa salvati da una tempesta: una ricotta freschissima, un fascio di spighe di grano, un cesto di uova, un vasetto di miele, un ramoscello di fiori d’arancio, un paniere di farina, della frutta candita.
In epoca romana un dolce simile alla pastiera, accompagnava le feste pagane del ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente.
Un'altra ipotesi fa risalire la pastiera all'epoca paleocristiana, alle focacce rituali che si diffusero ai tempi di Costantino, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella notte di Pasqua, al termine della cerimonia battesimale. Dal grano o farro, misto alla crema di ricotta, potrebbe derivare il pane di farro delle nozze romane, dette appunto “confarratio”.
Nella Gatta Cenerentola, la nota fiaba di Giovan Battista Basile portata sulle scene dal Maestro Roberto de Simone, le pastiere e i casatielli fanno parte delle prelibatezze del pranzo finale.
Si racconta che Mariateresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accettò di assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".
A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e' jurnate zompettiando;
Mentr' invece a' mugliera, 'Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A' faccia appesa
O' musso luongo, nun redeva maje,
Comm'avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a' cammeriera
Le dicette: "Maestà, chest'è a' Pastiera.
Piace e' femmene, all'uommene e e'creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
'Mpastata insieme o' zucchero e a' farina
A può purtà nnanz o'Rre: e pur' a Rigina".
Maria Teresa facett a' faccia brutta:
pò l'assaggiaje, e sa fernette tutta.
Mastecanno, riceva: "E' o'Paraviso!"
E le scappava pure o' pizz'a riso.
Allora o' Rre dicette: "E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien'accà, damme n'abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c'o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d'adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n'at' anno!"
Infine la versione moderna: pare che il dolce sia stato inventato nella pace segreta di un monastero napoletano.
Una suora volle che quel dolce, simbolo della Resurrezione, avesse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla ricotta mescolò una manciata di grano, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di fiori odorosa come la primavera, il cedro e le spezie aromatiche venute dall'Asia.
Nella sua versione attuale, la pastiera fu probabilmente definita in un antico monastero napoletano rimasto ignoto: anche questa, tuttavia, è solo una supposizione, avvalorata dalla considerazione che nei tempi antichi l'onore di confezionare i dolci per le feste religiose spettava alle monache.
Le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano considerate vere maestre nella preparazione della pastiera, che nel periodo pasquale confezionavano in gran numero per rifornire la tavole dei nobili e della ricca borghesia; quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni, dalla porta del convento fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno, si spandeva nei bassi e dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore.
Il nome sembra derivare da un'abitudine che ha voluto per un certo periodo, che fosse utilizzata la pasta cotta al posto del grano; ci sono ancora famiglie che preparano la pastiera in casa utilizzando pasta del tipo capellini.
Ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, o della migliore ricetta della pastiera. Il gusto e' diverso ed ogni famiglia possiede il suo segreto.
Anzi, ogni famiglia ha la "sua" pastiera: con o senza crema, più o meno profumata, più o meno ricca di canditi. Composizione e dosaggi sono esclusivo patrimonio di famiglia, gelosamente custodito e tramandato di padre in figlio; difficile identificare una ricetta originale e autentica.
Quando le case non erano ancora dotate di forni come oggi, tra i rituali della Pasqua c’era anche quello di portare le pastiere al forno per la cottura, nonna, mamma e prole al seguito.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore e anche perché è un dolce che invecchiando migliora, si può conservare fino a dieci giorni, ma non in frigo perché altrimenti si rovinerebbe subito.
Ci sono, diciamo, due scuole: la più antica insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute;
La seconda, sicuramente innovatrice, raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace in una bottega di Piazza Municipio, non più esistente. Si dice anche che la pastiera con la crema sia una versione nata nella penisola sorrentina.
Dall'aggiunta di crema pasticciera nella costiera sorrentina, a quella di riso nel beneventano, a quella con i tagliolini che si prepara invece nel nolano, con le innovazioni della moda, si aggiunge per i più golosi anche del cioccolato.
Comune denominatore di ogni pastiera sono sicuramente tre elementi speciali che ne costituiscono il tratto distintivo.
Il primo è l'aroma di fiori d'arancio. Si ricava dalla macerazione e successiva distillazione dei fiori d'arancio della varietà Bigaradia (l'arancio amaro): è un'essenza molto profumata che in commercio si trova sia allo stato puro, con il nome di Neroli (e in questo caso ne bastano poche gocce), sia diluita sotto forma di "acqua". Il secondo è la ricotta.
Il terzo è il "grano bagnato.
In un epoca, nemmeno tanto remota, si usava fare così: si acquistava il grano sfuso che si vendeva nei sacchi di iuta, si metteva a bagno in acqua fredda per quindici giorni cambiando l’acqua ogni due giorni. Il grano così ottenuto andava poi scolato, dosato e cotto nel latte.
Oggi fortunatamente esistono in commercio dei comodissimi ed ottimi barattoli di grano cotto già pronto per l’uso.
Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.
E' molto importante la cottura, però.
La pastiera più che cuocersi deve "asciugarsi" altrimenti rischia
di prendere un sapore di uovo cotto abbastanza sgradevole.
Nel dubbio che non sia perfettamente asciutta, quindi,
è meglio allungare il tempo di cottura a bassa temperatura.
Per le ricette:
la pastiera di Anna Amalia
la pastiera di ellemir
la pastiera con la crema di marialetizia
la pastiera di rosaria rubino
in più qualche ricetta delle varie tradizioni locali campane
Pastiera di Riso
Ingredienti
1 l di latte intero
150 gr di riso per bolliti
4 cucchiai di zucchero
3 uova intere
1 tuorlo
400 g di ricotta
1 fialetta di essenza di fiori d'arancio
250 gr di zucchero
1 bustina di vanillina
2-3 limoni
1 arancio
frutta candita
pasta frolla
Far bollire il latte e poi stracuocere il riso con i 4 cucchiai di zucchero (abbondanti). Quando sarà cotto lasciar raffreddare il riso.
Lavorare la ricotta con lo zucchero, grattarvi dentro la buccia di 2-3 limoni (a seconda della grandezza) e 1 arancio, aggiungere il fiordarancio, la bustina di vanillina e la frutta candita; lavorare finché l'impasto non diventa cremoso. Aggiungere il riso freddo, montare gli albumi a neve e aggiungerli all'impasto.
Imburrare e infarinare la teglia e stendervi la pasta frolla, lasciandone un po' da parte. Versare l'impasto, pareggiarlo con un cucchiaio e fare delle strisce da mettere sopra come per una crostata. Infornare a 175°.
Pastiera di Maccheroni
Lessare in acqua leggermente salata 350g di spaghetti o fettuccine. A metà cottura scolarli e completare la cottura in 250g di latte bollente zuccherato e profumato con bucce sottilissime di arancia o limone. Aggiungere anche 50g di burro. Lasciar raffreddare.
Intanto in una terrina stemperate 450g di ricotta con 250g di zucchero, unire 5 uova ben frullate, una manciata di uva sultanina (ammollata in acqua calda), e della frutta candita tagliata a cubetti piccolissimi. Aggiungere i maccheroni, aroma di millefiori e di fior d’arancio, mescolare il tutto e versare in una teglia imburrate e infarinata oppure rivestita di pasta frolla. Cuocere in forno a 180° finché la superficie diventi dorata. Non farla asciugare troppo e servirla fredda.
[ 19.03.2004, 12:06: Messaggio modificato da: marialetizia ]
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