Ne parlavamo in chat l’altro giorno ed il ricordo di questo episodio mi è tornato vivissimo, e ve lo voglio raccontare.
Quando dalla campagna tornammo in paese (Venturina) andammo ad abitare in una casa di periferia, costruita con gli arretrati della pensione di guerra di mio padre.
Io ho sempre abitato in periferia e d’altronde a Venturina anche il centro è in periferia.
Insomma ci costruimmo questa casetta con 500 mq. di orto, la sua baracca-cantina, un piccolo pollaio e due gabbioni per i conigli.
Mia mamma lavorava fuori, faceva la sarta a domicilio per le grandi famiglie ….. di mezzadri.
Vi aspettavi che dicessi ….. le grandi famiglie nobiliari ?
Figurati se quelli prendevano la mi mamma al lavoro! Le famiglie mezzadrili erano grandi perché erano decine di persone e prendevano al lavoro la mi mamma singer munita, che tagliava e cuciva vestiti da lavoro in tela d’affrica e mutande di peloncino.
Insomma era mia nonna la massaia di casa, così come lo era stata nella famiglia grande, prima che i miei si trasferissero in paese.
Era suo compito quindi gestire il pollaio ed ammazzare, raramente, le galline.
Lo aveva sempre fatto stingendo il pollo sopra la sottanona nera, tra i ginocchi, e girandogli il collo.
Sebbene minuta e magrolina aveva una “tecnica” antica e non aveva difficoltà per questo compito “istituzionale”, da sempre riservato, nelle famiglie contadine, alla massaia.
Io ero giovane e non me ne ero accorto che era invecchiata, era sempre più piccola, sepolta in quei vestiti neri e nella “pezzola” che teneva in testa.
Poi, un giorno, tornai a casa presto, non so se per uno sciopero, non ricordo, ed arrivai dietro casa.
La vidi, mia nonna, che ammazzava una gallina.
Ma non ce la faceva più ad ammazzare la gallina come si doveva.
Aveva legato il povero animale con due cordicelle, usando la cannella del lavatoio ed un pomo come punti di appoggio e stava tentando di girare il collo a questa bestia, traballando nello sforzo.
La guardai un attimo, poi mi venne da piangere e, senza che mi vedesse andai in camera.
Uscii dopo, dalla porta sul davanti e feci il giro della casa rumoreggiando perché mi sentisse.
Mi arrabbiai poi con me stesso per aver pianto, perché è difficile piangere a 17 anni, ma questa mia povera nonna che aveva nascosto a tutti la sua debolezza per mantenere il suo ruolo di massaia mi aveva colpito.
Debolezza, forza, disperazione, orgoglio, c’era un impasto, un groviglio di sensazioni, di messaggi, in quel gesto che sembrava comico e assurdo.
Una povera donna che ammazzava la gallina come fosse la morte che stava arrivando.
Ma alla morte non riuscì a tirare il collo, arrivò infatti prima di una anno, mi sembra.
Morì come ora non si muore più. Di vecchiaia, spegnendosi in pochi giorni, senza malattie apparenti.
Quando dalla campagna tornammo in paese (Venturina) andammo ad abitare in una casa di periferia, costruita con gli arretrati della pensione di guerra di mio padre.
Io ho sempre abitato in periferia e d’altronde a Venturina anche il centro è in periferia.
Insomma ci costruimmo questa casetta con 500 mq. di orto, la sua baracca-cantina, un piccolo pollaio e due gabbioni per i conigli.
Mia mamma lavorava fuori, faceva la sarta a domicilio per le grandi famiglie ….. di mezzadri.
Vi aspettavi che dicessi ….. le grandi famiglie nobiliari ?
Figurati se quelli prendevano la mi mamma al lavoro! Le famiglie mezzadrili erano grandi perché erano decine di persone e prendevano al lavoro la mi mamma singer munita, che tagliava e cuciva vestiti da lavoro in tela d’affrica e mutande di peloncino.
Insomma era mia nonna la massaia di casa, così come lo era stata nella famiglia grande, prima che i miei si trasferissero in paese.
Era suo compito quindi gestire il pollaio ed ammazzare, raramente, le galline.
Lo aveva sempre fatto stingendo il pollo sopra la sottanona nera, tra i ginocchi, e girandogli il collo.
Sebbene minuta e magrolina aveva una “tecnica” antica e non aveva difficoltà per questo compito “istituzionale”, da sempre riservato, nelle famiglie contadine, alla massaia.
Io ero giovane e non me ne ero accorto che era invecchiata, era sempre più piccola, sepolta in quei vestiti neri e nella “pezzola” che teneva in testa.
Poi, un giorno, tornai a casa presto, non so se per uno sciopero, non ricordo, ed arrivai dietro casa.
La vidi, mia nonna, che ammazzava una gallina.
Ma non ce la faceva più ad ammazzare la gallina come si doveva.
Aveva legato il povero animale con due cordicelle, usando la cannella del lavatoio ed un pomo come punti di appoggio e stava tentando di girare il collo a questa bestia, traballando nello sforzo.
La guardai un attimo, poi mi venne da piangere e, senza che mi vedesse andai in camera.
Uscii dopo, dalla porta sul davanti e feci il giro della casa rumoreggiando perché mi sentisse.
Mi arrabbiai poi con me stesso per aver pianto, perché è difficile piangere a 17 anni, ma questa mia povera nonna che aveva nascosto a tutti la sua debolezza per mantenere il suo ruolo di massaia mi aveva colpito.
Debolezza, forza, disperazione, orgoglio, c’era un impasto, un groviglio di sensazioni, di messaggi, in quel gesto che sembrava comico e assurdo.
Una povera donna che ammazzava la gallina come fosse la morte che stava arrivando.
Ma alla morte non riuscì a tirare il collo, arrivò infatti prima di una anno, mi sembra.
Morì come ora non si muore più. Di vecchiaia, spegnendosi in pochi giorni, senza malattie apparenti.
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