di Enzo

La cucina mezzadrile maremmana – parte quarta

©nicolaimpallomeni.it

La riproposizione della cucina mezzadrile, che sembrava facile, diventa sempre più difficile e se non si incomincia a dire come si può fare me lo dimentico anch’io e non si mangia più.

Allora prendiamo l’essenza, i dati caratteristici di quella condizione e andiamo ad incominciare cercando di capire la cucina mezzadrile dall’800 alla metà del ‘900.

Avere surgelatori a petrolio o a carburo era davvero pretendere troppo e anche le serre erano poco usate e allora la prima caratteristica della cucina che andiamo cercando l’abbiamo trovata: è una cucina stagionale.

I nostri padri erano davvero arretrati, mangiavano le pere a settembre e i cavoli a gennaio, l’uva ad ottobre e le fragole a giugno. Noi invece siamo furbi e facciamo l’esatto contrario, almeno costa di più e spendere è una delle non molte soddisfazioni che abbiamo, e per giunta possiamo anche sentire il familiare sapore dei conservanti.

Ora dire che si mangiano alimenti di stagione, prodotti dal territorio, diviene quasi un manifesto, una dichiarazione pubblica di impegno, una sfida pubblica; per tremilacinquecentododici anni è stata una stupida banalità che nessuno ha mai detto.

Questo concetto è stato posto a base della nouvelle cuisine, che ha esaltato giustamente, la cucina del mercato, basata cioè su quanto di meglio, di più fresco il cuoco trova sul mercato.

Come si vede la lezione di mia nonna Genoveffa è arrivata a Bocuse; chissà come si sono conosciuti. Non certamente al mercato perché mia nonna non frequentava quei postacci dove la gente maneggia denaro, andava nell’orto e tornava dal pollaio e con questo viaggio doveva fare pranzo e cena.

Il secondo elemento caratteristico è dato dal largo uso di verdure; le nostre nonne che pur sono morte senza conoscere la Lambertucci, beate loro, di carne ne avevano poca e di bocche da sfamare ne avevano molte.

Allora le verdure venivano in soccorso e non per abbassare i grassi, ma per sostenere i magri, intesi come figli, nipoti e marmaglia razzolante.

I veri piatti nostri non sono quindi gli arrosti ma gli umidi, e spesso gli umidi fatti e rifatti; certi tegami in cui la carne si nascondeva abilmente dietro le patate, sotto i fagiolini, tra i peperoni e chi la scovava era fortunato. Avere inventato, come hanno fatto i nostri antenati, il ragù “al galletto scappato”, è davvero la misura di come fantasia, autoironia e verdure possono costruire un piatto.

Il terzo elemento caratteristico era quello di un largo uso di erbe e sapori prelevati direttamente dall’ambiente.

La tavolozza dei profumi a cui attingevano le nostre nonne era molto più vasta di quella che noi oggi conosciamo e le erbe selvatiche commestibili erano molte di più.

Non sono diminuite le erbe, ma solo la nostra cultura gastronomica o, se preferite, quella botanica. Conosciamo le erboristerie, non le erbe.

Oggi usare i germogli di pungitopo a mo’ di asparagi è improbabile, ma anche l’uso di piante comuni come la borraggine o il pepolino suscita meravigliati apprezzamenti.

Anche una pianta medicamentosa e peraltro ottima per il suo buon sapore amarognolo come il tarassaco è ormai sconosciuta eppure pochi decenni or sono era prescritta come disintossicante e depurativa (la tarassacoterapia).

Compagni cuochi dilettanti, approfittate di questa ignoranza generale sulle erbe commestibili; comprate un buon libro sulle erbe commestibili e passeggiate negli incolti raccogliendo quello che incontrate. Su questa ignoranza generale potete fare la vostra fama, garantisco.

I condimenti erano naturalmente basati sull’olio di oliva e sullo strutto di maiale perché il burro, pur talvolta fatto in casa agitando bottiglie, era riservato ai malati, ai bimbi anemici ed alle partorienti.

Ancora oggi si sentono e si leggono cuochi della costa tirrenica che propongono “cucina tipica” e propongono l’uso di burro. Prometto di rivoltarmi nella tomba. Ma come? ma allora l’Appennino cosa ci sta a fare nel mezzo all’Italia se non a segnare la divisione tra il burro e l’olio, ma credete davvero che si sia sprecato una quantità impressionante di terra e pietrame per poi accettare che a Livorno usino il burro come fossero nella bassa modenese?

Io, per ripicca, faccio anche la besciamelle con l’olio e figuratevi voi se il povero conte De Besciamel, che era pure francese, avrebbe mai pensato che la sua famigerata salsa si poteva fare anche così.

Ritorniamo alla nostra cucina mezzadrile.

Quindi una cucina stagionale, creativa, a base di olio, con largo uso di verdure e di profumi, pensata per consumare il meno possibile di carne e di questa prevalentemente la carne ovina o da cortile.