di Eleonora
© Nicola Impallomeni

A me piacerebbe raccontare qualcosa della cucina di casa mia.
La mia famiglia si è trasferita da Napoli a Milano nei primi anni ’60; soldi in casa non ne giravano moltissimi, così sono venuta su a cereali e legumi.
La pasta naturalmente è stata l’alimento principale: non solo vermicelli al pomodoro, ma pasta e cavolfiore, pasta e cocozza, pasta e ceci, pasta e patate, pasta e fagioli, pasta e piselli, d’inverno con i legumi in scatola, quand’era stagione sgranandoli freschi dai baccelli. Qualche volta, la domenica, si facevano le frittate di maccheroni (spaghetti, in realtà) che per noi non erano portata da pic-nic, ma golosissimo piatto unico.

La frittura è stata un’altra grande risorsa: tante volte abbiamo cenato con panzarotti ripieni di uova e provola, con crocchè di patate, con palle di riso, “scagliuozzi” (fette di polenta fritte), “sciurilli” (fiori di zucca in pastella), cavolfiori, carciofi, melenzane indorati e fritti, mozzarella in carrozza, pizze fritte con la salsa, pizze fritte con la ricotta, pizzelle di baccalà, paste cresciute: preparazioni laboriose, cui partecipava tutta la famiglia.
Ancora capitava di fare cena con la pizza di scarola, o con la pizza rustica, imbottita di ricotta – in pratica torte di sfoglia ripiene – o con il gattò di patate (si scrive così, e guai a chi lo chiama “gateau”!) farcito di mozzarella e salame, con la sua crosta dorata, o con la brioche, ciambella salata di pasta lievitata.
Carne se ne vedeva poca; quando non erano le bistecche alla pizzaiola, o le braciole (involtini), allora era “ ‘o rraù”, il ragù di maiale, ed era domenica, perché la cottura richiedeva molte ore; con il sugo si condivano i paccheri di Gragnano.
Oppure si faceva la genovese, stufato di manzo ricco di cipolle, vai poi a sapere perché si chiama così.
Anche il pesce non era frequentissimo sulla nostra tavola: abbastanza spesso il baccalà con pomodoro, capperi e olive, le alici fritte o in tortiera; di tanto in tanto un tegame di profumatissimi “purpetielli affogati”.
Le verdure invernali, come la scarola, i broccoli e i cavolfiori affogati, o l’insalata di patate, si sostituivano d’estate con melanzane, zucchine e peperoni ripieni, questi ultimi di pangrattato, olive, capperi e basilico, e noi bambine li chiamavamo “con la segatura”; e poi peperuncielli e melenzane fritte, zucchine e carote “a scapece”, parmigiana di melenzane, teglie di patate cipolle e pomodoro, odorose di origano.
I pomodori trionfavano nell’insalata con cipolla, cetrioli e origano, oppure spezzati in padella con aglio e basilico a fare un semplicissimo quanto saporito sugo per la pasta.
Molto per il riso non lo siamo mai stati. Qualche volta si sostituiva alla pasta unendosi a fagioli, piselli o patate; quello che compariva più frequentemente sulla nostra tavola era il riso e verzi, che a me non è mai piaciuto.
Ma se la festa era grande, allora era il sartù, preparazione sontuosa di origine settecentesca, il cui nome tradisce una lontana origine francese, in cui il riso è uno scrigno che avvolge una ricchissima farcitura. La preparazione è lunga e laboriosa; papà è sempre stato il capocuoco, mentre io e le mie sorelle rubacchiavamo le polpettine destinate al ripieno.

Il Settecento è stato un secolo d’oro, per la cucina napoletana; la regina Maria Carolina di Borbone, che veniva dalla Francia, pensò bene di portarsi al seguito numerosi raffinati cuochi che, entrati al servizio delle famiglie aristocratiche con il nome di Monzù – storpiatura di Monsieur – rielaborarono la gustosa ma povera cucina napoletana.
A questo periodo sono da far risalire anche i “timpani”, i timballi di pasta racchiusi da un guscio di pastafrolla, che però a casa mia non hanno mai preso piede, perché i miei non amavano il connubio dolce-salato.
Minestre in casa se ne sono viste poche, a parte la zuppa di ceci; menzione particolare merita la minestra maritata, dove la verdura si sposa con la carne di pollo e di maiale; già il nome suggerisce che si tratti di portata destinata a una festa; ove questo non bastasse, la ricetta prevede un osso di prosciutto, non facile da reperire!
Lo stesso discorso vale per il “soffritto”, sarà successo un paio di volte di riuscire a trovare tutti gli ingredienti, a Milano, ed è stata festa grande.