di Enzo Raspolli

LA STORIA SEMISERIA DELLA CUCINA ITALIANA.

Capitolo 7. Note conclusive prima che arrivino quelli. Parte prima

Siamo all’apoteosi ad alla fine di Roma caput mundi.

Continuano i banchetti ma la presa sulle province si allenta, la struttura schiavistica sta crollando ma si brinda, a Roma, tra gli intrighi ed i veleni, i roghi e le lotte per il potere.

Ma come è il banchetto romano? Dobbiamo dire molto più ricco di quello greco, con i commensali che non sono mai molti, normalmente 9, sdraiati sui triclini. Quello messo meglio era il “lectus magnum” in cui stava l’ospite d’onore e spesso il padrone di casa, poi il “lectus medium” che non c’è bisogno di spiegare ed infine il “lectus limus” detto megliochenulla.

Per ogni letto, mediamente, tre ospiti che si agitavano e cambiavano continuamente di posizione, sistemandosi i cuscini, smadonnando e chiacchierando. In età più tarda i tre letti vennero sostituiti da un unico letto fatto ad arco, il “sigma”. Il nome deriva dalla omonima lettera dell’alfabeto greco. A portata di mano un tavolo rotondo, su cui venivano posati i vassoi, il sale ed altri aromi, il vino puro e l’acqua calda e profumata per allungarlo, nonché il filtro per purificarlo, perché ai romani non è mai venuto chiaro. Alessandro sarebbe morto di crepacuore.

I cibi venivano trasferiti nei piatti tenuti fermi con la sinistra mentre con la mano destra il cibo veniva portato alla bocca. Posate nisba, bisognerà aspettare parecchio. La tovaglia appare tardi, dopo il I secolo d.c. mentre il tovagliolo è più antico, ma più che per nettarsi la bocca era usato per portare a casa gli avanzi. Questa elegante consuetudine è ora ripresa in occasione di matrimoni, soprattutto al sud, dove il ristoratore stesso predispone eleganti contenitori in plastica. Poi si dice che il matrimonio è in crisi.

Il banchetto pullulava di schiavi. Ora tutti sappiamo della bisessualità dei romani e quindi non ci meraviglia sapere che gli schiavi più bellini volteggiavano seminudi o vestiti di colori vistosi e mescevano il vino, pulivano in terra (i commensali scaraventavano per terra tutti gli avanzi) e facevano altri lavori poco specializzati. Era possibile che i commensali portassero un proprio schiavo, anche per essere assistiti nei momenti più imbarazzanti ed eventualmente per essere riaccompagnati a casa quando erano troppo ubriachi. Non è che i Militi romani facessero gonfiare il palloncino di vescica di maiale, ma certo avere una persona di fiducia era sempre meglio. Gli schiavi più abili, magari meno avvenenti, provvedevano a fare le porzioni, a tagliare, a condire ecc. Le portate venivano dalla cucina su grandi vassoi ed in forma scenografica, ma il bello arriverà poi nel medioevo, in quanto a scenografia. Provare per credere.

Dopo l’antipasto veniva servita la cena vera e propria e poi venivano portate le statuette dei lari e dei penati. Nuova occasione di libare alla fortuna della casa dell’ospite e poi via con la secundae mensae. Una cosa strana era il richiamo continuo alla morte, pur in questo clima godereccio; molti mosaici ritrovati nelle sale da pranzo portano il teschio, molte coppe erano istoriate con figure di scheletri (non si è capito se c’era anche la scritta “nuoce gravemente alla salute” come sui pacchetti di sigarette).

Intorno al banchetto, magari non in vista dei commensali, una folla di clientes e di liberti in attesa degli avanzi o di una mancia, la sportula.