di Giuliana
© Giuliana
Una amica di mia madre, tornando dal Friuli, mi ha portato un sacchetto di brovada, di quella fatta dalla sua famiglia, leggermente diversa da quella che vendono i negozi, che è sempre un poco più acida.
Questa è un po’ più delicata, dipende forse da quanto tempo le rape sono state tenute a bagno nelle vinacce. Purtroppo è arrivata solo lei, niente ‘muset…, così, giocoforza, ho fatto cucina fusion con le specialità di due regioni diverse….brovada friulana e boccia di Cremona, che avevo già in casa. Gran bel connubio lo stesso, non ne ho avanzato nemmeno un briciolino…
La brovada è una di quelle cose che non conosce mezze misure, o ti piace o non ti piace. Io la adoro….e così domenica, complice la presenza dei ragazzi e di mia madre, l’ho preparata nel modo classico, molto semplice.
Era molto che non assaggiavo la brovada ‘di casa’…, di solito quella che mi procurano è venduta da piccole aziende conserviere locali, ottima lo stesso, ma non certo come quella che fa una famiglia di contadini seguendo tradizioni che si tramandano da generazioni…
Assaggiarla e far riaffacciare i ricordi è stato un attimo…

Mendes non era un ragazzino fortunato. Affatto.
Messo al mondo da una coppia un po’ avanti con gli anni, era nato già svantaggiato.
Era quello che una volta si diceva ritardato, uno di quelli che un tempo erano chiamati figli del lunedì, concepiti quando il padre, la domenica sera, tornava a casa ubriaco dopo aver passato tutta la domenica all’osteria.
Un ragazzo di quindici anni con il cervello di un bambino di tre, imprigionato in un corpo grosso e tozzo, quasi da adulto ormai.
Vivevamo, io e lui, nello stesso posto, Lanzo d’Intelvi, l’ultimo paese arrampicato sulle montagne comasche, dove la Svizzera è oltre la strada che passa poco lontano da casa, e il gabbiotto della dogana è al limitare di un bosco…..un paese di duri montanari e briccolle di contrabbandieri, a quasi mille metri d’altezza, sulle montagne che sovrastano sia il lago di Como che quello di Lugano.
Un piccolo paese incastonato al culmine della Val d’Intelvi, una valle molto bella che scende fino ad Argegno, sul lago di Como, e dove sono cresciuta fino ai 6 anni.. un posto di villeggiatura abbastanza in voga in quegli anni ’50 ricco di ville e alberghi, campi da tennis e attrezzature turistiche.
I miei si erano trasferiti lì dal Friuli, fuggendo dalla miseria che nel primo dopoguerra imperversava in quelle campagne. Erano venuti a Lanzo chiamati da una cugina, perché gli Herbatschek, noti antiquari milanesi, avevano bisogno di custodi per la loro villa in montagna.
Così, i miei, con il loro bagaglio di speranze, si arrampicarono con la corriera su per le tortuose strade della val d’Intelvi e iniziarono una vita nuova, faticosissima, piena di sacrifici e privazioni ma consapevoli che le prospettive per il futuro forse sarebbero state migliori…
Io rimasi coi nonni finchè non si furono sistemati, poi mi vennero a prendere e cominciò anche per me un periodo che ricordo molto bene, nonostante fossi così piccola. Avevo due anni quando ci trasferimmo lì.
Erano tempi molto duri, soprattutto in quei paesi di montagna, dove il lavoro era prevalentemente nei boschi e nella pastorizia, e d’estate negli alberghi o nella clinica del Caslè, ora è solo ortopedica e di recupero per malattie cardiache, ma un tempo era adibita a sanatorio.
Tornando a Mendes, era figlio di Angela e Alvise Cattaneo, lui nativo di Lanzo, e lei invece friulana…quando venne a sapere che anche noi avevamo origine friulana cercà mia madre e infine diventarono amiche.
Una delle poche famiglie del paese che si mostrarono aperte nei nostri confronti. Era difficile farsi accettare da quella comunità così chiusa in se stessa, nel suo dialetto stretto e nelle sue tradizioni, c’è voluto molto tempo prima che succedesse, dopo aver ampiamente dimostrato di essere persone perbene che lavoravano duro…..poi, una volta accettati non eri più ‘foresto… eri uno di loro, in ogni frangente. Così, nel tempo, i miei fecero molte amicizie, con persone che ricordo tutte con molto affetto.
Capitava quindi che la sera o a cena o dopo, i miei si ritrovassero anche con i Cattaneo, e io, di conseguenza, con Mendes…..ahimè.
Mi riempiva di pizzicotti dolorosissimi, e mi scalciava da sotto il tavolo, mi aizzava contro il cane, e io ero arrivata al punto di averne davvero paura. Me lo ritrovai anche all’asilo delle monache e lì era anche peggio. Non esisteva la divisione in classi diverse, non eravamo molti e si stava tutti insieme, bambini di ogni età fino ai 5 anni, per tutto il giorno, sorvegliati distrattamente da un paio di monache. D’inverno nell’enorme stanzone che faceva anche da refettorio, d’estate nel grande giardino.
Alcune bambine un po’ più grandi di noi si divertivano a mie spese, e, approfittando del suo stato, lo incitavano a tirarmi i capelli, a farmi dispetti e a riempirmi di calci. E lui, poveretto, eseguiva con zelo tutto quello che loro gli dicevano di fare.
Di quanta cattiveria sono capaci i bambini a volte…in fondo, io e lui, ai loro occhi, avevamo qualcosa in comune, eravamo dei diversi, io venivo da fuori e lui era quello che era….
A nulla valevano le mie rimostranze con le monache. Non si sono mai curate di questi aspetti, mi dovevo arrangiare.
In fondo lo sopportavo, mia madre mi spiegava che lui non era del tutto consapevole di quello che faceva, e poi non volevo che sua madre lo picchiasse, cosa che succedeva abbastanza spesso…
I miei stavano volentieri in compagnia di queste persone, ma per me era un vero supplizio, e ogni volta che si andava da loro non vedevo l’ora che finisse tutto per tornare a casa.
Ma per i miei genitori era l’occasione per chiacchierare in dialetto, per condividere esperienze e ricordi friulani con Angela, e ogni volta che qualcuno mandava a lei o a noi specialità dal paese, era una vera festa…soprattutto quando arrivava la brovada, a novembre…
Ricordo quelle cene con una specie di dolorosa malinconia, pensando a dove sarà ora Mendes, i suoi genitori sono scomparsi e lui è rimasto solo, l’unica sorella, più piccola, sicuramente lo avrà fatto ricoverare in chissà quale luogo…..chissà se è ancora vivo…
Ci torno spesso a Lanzo, è un po’ come ritrovare un pezzo delle mie radici, passo per il paese e rivedo luoghi, case e angoli che conosco bene. La fontana sulla piazza alta, il parchetto dove giocavo alla guerra insieme ai maschi, la strada della Sighignola..il viottolo che porta in Pianca…un bellissimo bosco di castagni secolari…l’agenzia Novi, mai cambiata da quando ero bambina, il negozio del macellaio Cirla, e quello del calzolaio Franzoni, il piccolo, silenzioso cimitero in mezzo ai pini, ….e poi salendo su, su, fino alla terrazza panoramica sulla Sighignola, il prato dove io e mio padre, dopo aver cercato funghi per tutta la mattina, ci sedevamo stanchi in silenzio a guardare l’immensità del panorama sotto di noi….

© Giuliana
© Giuliana
© Giuliana
C’era una panchina lì, ormai scrostata e arrugginita, era la mia panchina. Ora l’hanno tolta, magari anche giustamente, ma io ho provato un vero e proprio dispiacere….
….tout passe, tout casse, tout lasse et tout se remplace….così vanno le cose..

BROVADA
1 kg circa di brovada
1 piccola cipolla
burro e olio
2 foglie di alloro
sale, pepe

Sciacquare velocemente la brovada sotto un getto d’acqua, e lasciarla scolare bene.
Far appassire, in una noce di burro e un goccio d’olio la cipolla affettata, aggiungere quindi la brovada ben scolata, le foglie di alloro, regolare di sale e pepe e cuocere dolcemente aggiungendo acqua calda poca alla volta, finchè le rape grattugiate sono perfettamente morbide.
Servire con un buon cotechino.