di Rossanina
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I salumi della Valle d’Aosta. Jambon Cuit de st. Oyen

Era il 2010. Ancora avevo fegato 1.0. Con l’autorizzazione del centro trapianti di Pisa trascorremmo una breve vacanza in Valle d’Aosta.
La Valle d’Aosta aveva sempre avuto un fascino speciale su di me. Fin da tempi immemorabili. Già in viaggio di nozze al ritorno avrei voluto fare una tappa lì. Ma, complice una deviazione sbagliata, ci trovammo a Torino invece che a Aosta. E decidemmo di tornare a casa. Mi era rimasta sempre nel cuore.
Fu così che nel 2010, nell’attesa del trapianto, decidemmo di recarci al fresco, Valle d’Aosta saresti stata mia!
Sono da sempre convinta che le difficoltà e gli ostacoli rendano le persone speciali. E la montagna un po’ lo è. Quanto meno tende ad isolare, rende complessi i trasporti e gli spostamenti fisici. E le persone che vi abitano sono spesso poco avvezze alle formalità. Poco atte a cortesie inutili, a tutta quella serie di “finzioni” sociali e formali della vita di tutti i giorni. Le persone di montagna sono schiette. Di quella schiettezza a volte “ruvida” che può anche far male se non sei pronto. Come lo è la vita, spesso.
In quel viaggio ebbi modo di conoscere una cucina poco barocca, fatta di elementi base dominanti e pochi ricami. Come quella aretina, fatta di bistecca alla brace e fagioli al fiasco.
Nel 2010 ci fu la mia prima volta con una polenta “vera”. Fatta di granturco rustico ma soprattutto cotta sul focolare. Un gusto schietto, non da signorine. La fontina, dall’odore deciso, quella di malga, che se giusto giusto hai la forza di andare oltre l’odore penetrante ti conquista con il suo dolce aroma. Ma è stato in un secondo momento che ho potuto andare oltre le “solite” polenta e fontina e assaporare dei prodotti rari da trovare al di fuori di questo territorio. Più che rari, impossibili.

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Il Jambon alla brace di St. Oyen. Ne avete mai sentito parlare? Io no, mai visto e mai sentito.
Fino a quando sono andata al percorso rosso a Saint Rhemy en Bosses. Una manifestazione fatta bene, con i produttori locali che fanno assaggiare i loro prodotti. Si comprano dei tagliandini all’ingresso e si fanno degustazioni di vino e cibo.
Da lontano ho sentito il profumo di carne alla brace. Pensavo fosse il classico costoliccio e salsicce. Mi sono avvicinata alla postazione.
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Niente costoliccio.
Prosciutto cotto.
Il prosciutto cotto ed io, lo sapete, non siamo mai andati tanto d’accordo. Lo mangio (anzi lo bramo) quando mi viene la febbre. Negli altri momenti potrei vivere senza. Ma poiché il profumo mi attirava decisi di fare una prova.
Le fette erano spesse, come se fosse arista. Il poco grasso era reso trasparente dal calore. Via proviamolo.

BUM!
Un’esplosione di piacere.
Un gusto mai provato. Una consistenza morbida, succosa, un profumo netto, deciso, dato dalle erbe aromatiche di cui era cosparso. La rosolatura allo spiedo aveva infuso profumi ed aromi antichi mentre il vino, con il miele e gli aromi con cui era stato irrorato lo avevano reso davvero unico.
E prima che nessuno potesse fiatare avevo visto dove, in cima alla “greppata”, lo stavano preparando.   Io, quella che per fare una salita ha bisogno dell’argano, dopo 3 secondi ero in cima. A fare i complimenti a chi lo aveva preparato, a chi lo aveva pensato, a chi lo aveva cucinato… a tutti insomma. Ero come inebriata.
E fu così che parlammo con gli organizzatori, con i rappresentanti della proloco e con chi aveva voglia di condividere con noi questo momento.
Un prodotto di nicchia, che ha il suo perché mangiato sul posto, caldo, appena tolto dallo spiedo.

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Ma che è davvero particolare anche a casa, sottovuoto, scaldato leggermente, per riportarlo alle condizioni ottimali.
Ed è stato così che nel 2012 non sono mancata alla sagra e neppure nel 2013.
E tutti gli anni mi fermo a parlare con le persone della proloco, con chi cucina, con chi organizza. Ricevendo un pezzetto di straforo “senti come è buono questo grasso, si scioglie in bocca”, con uno sguardo ammiccante, tra “intenditori”.

Ricevere un messaggio privato “ce la fai quest’anno a venire alla sagra? Ci farebbe piacere che tu ci fossi! Dai, lo sai è sempre il primo fine settimana di agosto a Prenoud! Ti aspettiamo!”
Capire che quello è un messaggio per te, solo per te, non un invito “di gruppo”, ti fa riflettere su come i valdostani che hai conosciuto siano come il Jambon alla brace di Sant-Oyen: rustico all’esterno, ma dolce e delicatamente struggevole all’interno.
E, come il Jambon di Saint Oyen, impossibili da dimenticare.