di Enzo Raspolli
Storia Semiseria
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Rivoluzioniamo
Allora siete vestiti casual? Scarpe da tennis o scarponcini leggeri?
Via, si rivoluziona!
Ma noi dalla cucina ne vediamo poca, di rivoluzione. In effetti tra le pentole la rivoluzione è arrivata prima di quella delle barricate.
Oddio, quei giorni e specialmente gli anni successivi un risultato l'hanno prodotto: migliaia di cuochi, cantinieri, trincianti ecc. hanno avuto il nobile padrone decollato e sono sul mercato.
Molti andranno a costruire la ristorazione pubblica, quei ristoranti che abbiamo visto nascere pochi decenni fa.
Molti altri andarono a servizio dei nuovi potenti, quei borghesi arricchiti con i commerci, con la nascente industria, con l'agricoltura che ebbe un impulso straordinario dalla confisca dei terreni ecclesiali e di uso collettivo.
Ma si apre una nuova “professione” e cioè quella di gourmet, cioè di “giudice” gastronomico, di fine assaggiatore.
Fin dai primi anni dell'800 sui giornali parigini iniziano a comparire scritti di gastronomia e di costume, valutazioni sui principali cuochi, notizie sui prodotti alimentari ecc.
Ma non era solo gastronomia, era gastrosofia, cioè una nuova filosofia del gusto, della vita e dei suoi piaceri.
D'altronde non fu la sorella a dire: "Bambini? Preferisco cominciarne cento, che finirne uno" (Paolina Bonaparte)
L'Arcicancelliere dell'Impero Cambacérès ebbe a dire invece: “Parlate piano, altrimenti non si capisce cosa stiamo mangiando”.
Due annotazioni a questo detto che fece allora il giro di tutta la buona società post-rivoluzionaria:
La prima è che per uomini che venivano dal ‘600 con banchetti allietati da nani e ballerine, cantanti e bande musicali, sculture di grasso e zucchero, vassoi trainati da pegasi alati, insomma per loro, questa nuova attenzione al gusto, alla qualità, al godimento personale era davvero una goduria anche morale.
Si erano fatti un posto nella storia. E che, no?
La seconda considerazione riguarda la qualifica di Cambacérès: era Arci–cancelliere.
Te pareva.
Anche l'Italia dà il suo contributo, ma è un italiano francesizzato.
Da Benvenuto abbiamo Talleyrand, ministro degli esteri sotto vari regimi e soprattutto datore di lavoro di Carme Antonin, il gran cuoco.
Il Talleyrand sopravvisse alla caduta di Napoleone e partecipò al congresso di Vienna dove, oltre che alla restaurazione, pensarono anche ad organizzare gare tra i grandi cuochi ed a svolgere una gara per scegliere il miglior formaggio del mondo.
Per la storia vinse il brie, il formaggio di cui Bonaparte aveva detto che era l'unico amico che Talleyrand non avesse mai tradito.
Da questi tempi confusi emerge appunto un grande uomo che non è cuoco ma è grande e introverso, un mangiatore taciturno ed un cervello agile ed ironico.
E' un magistrato che scrive diversi libri di dottrina giuridica, un saggio sul duello, e, poco prima di morire, quasi vergognandosi, dà alle stampe “Physiologie du Gout”.
E' costui Jean Anthèlme Brillat Savarin 1755–1826.
La sua Physiologie è un libro strano. Non è un libro “de cucina”, ha pochissime ricette (bravo Anthelme, mica siamo Suorgermane, noi!). Contiene invece meditazioni gastrofilosofiche e soprattutto aforismi.
Tra questi vi regalo: “Dopo un buon pasto si è disposti a perdonare a tutti, persino ai propri parenti.“
Si tratta di un libro complesso, oggi in parte certamente superato, ma che rappresenta al meglio la rivoluzione gastronomica che precede ed accompagna quella sociale e culturale della fine del ‘700.
La gastronomia diviene, ora, una delle “arti” perché eleva l'uomo, ne soddisfa i sensi, realizza la sua umanità che non è più solo spirituale e trascendentale ma è anche corporale, umana.
La rivoluzione non potrebbe essere più completa, più totale.
Il piacere torna nel mondo, ed entra dalla porta di cucina. Il vecchio spiritualismo ascetico del medio evo è superato, la Chiesa è “fuori” o almeno è solo un fatto personale. Dopo aver tolto i terreni al clero i rivoluzionari vogliono togliergli anche il controllo sociale, l'egemonia sulle coscienze.
E lo fanno esaltando quello che per secoli si era tenuto nascosto, svelando la gloria del piacere.
Si può dire che questo libro, ed i molti che sulla sua scia saranno scritti in tutta l'Europa, è l'architrave culturale su cui si fonda la grande cucina francese che per i due secoli a venire sarà il punto di riferimento della gastronomia di tutto il mondo.
Ma non è una somma di ricette, è una filosofia intesa in senso compiuto, una visone del mondo.
Insieme a questi cambiamenti diciamo filosofici, ce ne sono anche di pratici. Il servizio alla russa prende sempre più campo, portato a Parigi dal Principe Kourakin.
La tavola “tipo” per i pranzi alla francese, prima dell'arrivo della nuova moda, è ovale, con due zuppiere poste ai lati, due grandi “rilievi” in posizione più centrale, provvisti di fuochi che tengono caldi un pesce ed un arrosto, quattro grandi vassoi di cacciagione, carni in umido, verdure ecc. ed innumerevoli vassoi più piccoli con stuzzichini, dalle ostriche crude ai capperi, dalle alici sotto sale ai sottaceti.
I posti individuali sono provvisti di piatto, con sopra un tovagliolo pieghettato che nasconde un panino, con due bicchieri e tre posate, tutte sulla destra. Questa delle posate a destra era una moda già usata dai guelfi nella Firenze del ‘400, mentre i Ghibellini le mettevano tra il piatto ed i bicchieri, stese in orizzontale.
Be' i mi' tempi! allora i francesi mangiavano ancora con le mani.
Con il servizio alla russa rimangono solo le zuppiere e qualche piccolo vassoio di antipasti, mentre tutto il resto viene portato ben caldo e cotto al punto giusto, dalla cucina man mano che il pranzo va avanti.
E le portate sono sempre doppie e cioè costituite da un vassoio con la carne o il pesce ed un contorno di verdura. I commensali si fanno servire secondo la loro fame e qui si nota una nuova, buona, abitudine e cioè quella di finire quanto si ha nel piatto.
Questo deriva dall'odio per lo spreco tipico dei borghesi, ma anche dal rispetto per la fatica altrui e per il costo della materia prima. Ma solo il servizio alla russa poteva dare corpo a queste nuove esigenze, alla sobrietà ed insieme alla ricercatezza della nuova cucina.
Nei vecchi pranzi mediovali invece gli avanzi erano non solo la norma, ma una delle componenti del banchetto in quando venivano poi ripartiti a scalare tra il personale del Signore ed infine alla plebe che spesso era invitata a “guardar mangiare” da apposite tribune allestite intorno al convivio.
E soprattutto a fare il tifo per gli avanzi, nella speranza che qualche brindello di quella ostentata opulenza finesse nella propria sdentata bocca.
Ora invece, con il servizio “impiattato”in cucina, è il cuoco a decidere quanto cibo mettere nel piatto. Per fortuna (sic!) le porzioni della novelle cousine sono così minuscole che non si rischia di lasciare molti avanzi.
Ma le ricette non le scriveva nessuno?
Su, sorridiamo, che qualcuno le scriveva.
Magari non era Caréme, il quale si dice passasse le notti alla Biblioteca Nazionale per trovare negli scrittori antiche l'ispirazione per i suoi piatti, ma certamente il “Cuisinier” che esce nella prima edizione nel 1806 e nell'ultima nel 1875 ha rappresentato la codificazione pratica della grande cucina francese.
Insomma eravamo partiti un po' alla carlona per fare la rivoluzione sulle barricate e ci si trova a tavola perbenino, educati e goderecci.