Come ogni anno, il 5 gennaio si accenderanno i fuochi del Panevin. Fino a metà del secolo scorso questi fuochi si accendevano solo nelle zone pedemontane della sinistra Piave. Ora si possono vedere in tutto il Veneto con varianti che nulla hanno a che vedere con la tradizione.
Il rito apotropoaico
La tradizione del Panevin fa parte degli antichissimi riti agrari, nati con l'uomo preistorico ed erede degli antichi fuochi celtici propiziatori della nuova stagione, verosimilmente dislocati lungo tutto il tempo dell'anno, e mantenuti in coincidenza delle vigilie delle feste cristiane più sentite. Riti alimentati dal costante timore, durante il solstizio invernale, di perdere il sole e di vedere così esaurirsi le forze della vegetazione, e dunque le fonti della vita. Il Panevin esorcizzava l'inverno, che genera la morte arborea, e conteneva in sè la capacità di rigenerare la fertilità della terra. Un segno di rigenerazione era il fuoco che, come potenza vivificatrice, invitava la gente, con il suo calore, a stare insieme e mettere in fuga il gelo della solitudine.
La scelta del posto, dove erigere la catasta di rovi e sarmenti, coincideva col campo più produttivo (rito arcaico imitativo di abbondanza) e doveva essere in posizione elevata, prossima cioè al cielo, al divino. I pali di supporto attorno ai quali venivano accatastate le fascine e gli sterpi erano tre come i tre Re Magi (per altri la simbologia trinitaria di Dio e della fede illuminante), legati tra di loro e di taglio fresco, cioè vivi (auspicio pagano di vitalità ); il falà veniva costruito dai più giovani e dai bambini (il nuovo che caccia il vecchio e la vita che sconfigge la morte) e il fuoco doveva essere generato con pietre focaie (proprio come quello sacro della liturgia cristiana nella Settimana Santa) . Al suono dell'Ave Maria della sera, il capofamiglia più anziano, l'autorità patriarcale, accendeva il fuoco.
Intorno al Panevin acceso si svolgevano riti ancestrali pagani e cristiani:
-l'invocazione rituale, immutabile da secoli: Che Dio ne dae la sanità e 'l pan e vin (che Dio ci dia la salute, il pane e il vino) seguita da altre invocazioni e varianti, per es., la pinza sul larin, la poenta sul fondà l ( la focaccia sul focolare, la polenta sul tagliere).
- le danze intorno al fuoco. Con le mani ai fianchi, e un movimento semirotatorio del busto destra-sinistra, si accompagnava un canto corale a strofe brevi, alternate. Un corifeo proponeva dodici temi biblici in successione decrescente. Rispondevano i presenti con un refrain, ritornello rievocatore del dramma della Passione di Cristo del Venerdì Santo: Piaghe e sangue
- I presagi delle faville: Fuische verso sera, poenta pien caliera (abbondanza e prosperità ) Fuische a matina, ciol su 'l sac e va a farina (carestia e povertà ).
- La condivisione del pane e del vino ( cibi sacri e primordiali).
Con le braci o bronze si riattizzava il fuoco domestico, considerato sacro, ed usato in modo analogo a quello pasquale. I ragazzi cercavano di saltare al di là delle ceneri ancora calde quasi a testimoniare la loro capacità di superare gli ostacoli esistenziali e dunque degni di essere considerati uomini. Questa potenza rigeneratrice si espandeva alla comunità , agli animali e alla terra, come dimostra l'usanza di spargere le ceneri nei campi, nei pollai e nell'acqua dell'abbeveratoio del bestiame. Anche il salto del fuoco o della brace da parte dei giovani prossimi al matrimonio assicurava loro, similmente, abbondante figliolanza.
Il rito apotropoaico
La tradizione del Panevin fa parte degli antichissimi riti agrari, nati con l'uomo preistorico ed erede degli antichi fuochi celtici propiziatori della nuova stagione, verosimilmente dislocati lungo tutto il tempo dell'anno, e mantenuti in coincidenza delle vigilie delle feste cristiane più sentite. Riti alimentati dal costante timore, durante il solstizio invernale, di perdere il sole e di vedere così esaurirsi le forze della vegetazione, e dunque le fonti della vita. Il Panevin esorcizzava l'inverno, che genera la morte arborea, e conteneva in sè la capacità di rigenerare la fertilità della terra. Un segno di rigenerazione era il fuoco che, come potenza vivificatrice, invitava la gente, con il suo calore, a stare insieme e mettere in fuga il gelo della solitudine.
La scelta del posto, dove erigere la catasta di rovi e sarmenti, coincideva col campo più produttivo (rito arcaico imitativo di abbondanza) e doveva essere in posizione elevata, prossima cioè al cielo, al divino. I pali di supporto attorno ai quali venivano accatastate le fascine e gli sterpi erano tre come i tre Re Magi (per altri la simbologia trinitaria di Dio e della fede illuminante), legati tra di loro e di taglio fresco, cioè vivi (auspicio pagano di vitalità ); il falà veniva costruito dai più giovani e dai bambini (il nuovo che caccia il vecchio e la vita che sconfigge la morte) e il fuoco doveva essere generato con pietre focaie (proprio come quello sacro della liturgia cristiana nella Settimana Santa) . Al suono dell'Ave Maria della sera, il capofamiglia più anziano, l'autorità patriarcale, accendeva il fuoco.
Intorno al Panevin acceso si svolgevano riti ancestrali pagani e cristiani:
-l'invocazione rituale, immutabile da secoli: Che Dio ne dae la sanità e 'l pan e vin (che Dio ci dia la salute, il pane e il vino) seguita da altre invocazioni e varianti, per es., la pinza sul larin, la poenta sul fondà l ( la focaccia sul focolare, la polenta sul tagliere).
- le danze intorno al fuoco. Con le mani ai fianchi, e un movimento semirotatorio del busto destra-sinistra, si accompagnava un canto corale a strofe brevi, alternate. Un corifeo proponeva dodici temi biblici in successione decrescente. Rispondevano i presenti con un refrain, ritornello rievocatore del dramma della Passione di Cristo del Venerdì Santo: Piaghe e sangue
- I presagi delle faville: Fuische verso sera, poenta pien caliera (abbondanza e prosperità ) Fuische a matina, ciol su 'l sac e va a farina (carestia e povertà ).
- La condivisione del pane e del vino ( cibi sacri e primordiali).
Con le braci o bronze si riattizzava il fuoco domestico, considerato sacro, ed usato in modo analogo a quello pasquale. I ragazzi cercavano di saltare al di là delle ceneri ancora calde quasi a testimoniare la loro capacità di superare gli ostacoli esistenziali e dunque degni di essere considerati uomini. Questa potenza rigeneratrice si espandeva alla comunità , agli animali e alla terra, come dimostra l'usanza di spargere le ceneri nei campi, nei pollai e nell'acqua dell'abbeveratoio del bestiame. Anche il salto del fuoco o della brace da parte dei giovani prossimi al matrimonio assicurava loro, similmente, abbondante figliolanza.
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