A Livorno uno dei piatti tipici è il baccalà alla livornese, che insieme alla minestra di ceci costituisce a tutt'oggi una delle accoppiate più comuni e felici della nostra tavola.
Vi riporto qui di seguito alcuni brani scritti da Aldo Santini nel suo libro "La cucina livornese" , relativi al baccalà e allo stoccafisso.
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A Livorno niente raffinatezze. Niente piatti alla francese. Il baccalà è sempre stato un piatto plebeo per i giorni di magro di un popolo ateo e blasfemo pronto ad inginocchiarsi davanti alla Madonna di Montenero. Baccalà e minestra di ceci. Un'accoppiata classica che fu subito adottata dai signori, dalla "crema" dei banchieri e dei mercanti, dalle "Nazioni straniere".
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E' possibile, allora entusiasmarsi per il baccalà o per lo stoccafisso alla livornese? Bisogna intenderci.I classici della cucina li ignorano. L'Artusi, ad esempio, non li cita nemmeno. Parla del baccalà alla fiorentina o alla bolognese, avvertendo "che non è confacente agli stomachi deboli, perciò io non l'ho mai potuto digerire".
Parla di uno stoccafisso in umido senza patria "che un amico mio, certo di far cosa gradita, non si perita d'invitare dei gran signori a mangiare questo piatto da colazione".
L'Artusi non ha mai avuto simpatia per Livorno. Vi mise piede una volta sola, nel 1853, a "praticare commerci" e ne fuggì spaventato qualche giorno dopo. Era andato a pensione in un alberguccio nei pressi della Fortezza Nuova e aveva avuto degli strizzoni di pancia. Tornà a Firenze per curarsi. In seguito lesse che era scoppiata un'epidemia di colera e il proprietario del suo albergo aveva tirato le cuoia.
Bè, non è un segreto: L'Artusi soffriva di stomacucci, come diciamo in Toscana, ed era un teorico della cucina. Livorno non poteva essere la "sua" città . A noi livornesi preme assai di più l'opinione di Giuseppe Garibaldi, questo soldataccio dalle voglie ferine e il cuore generoso. Il baccalà alla livornese gli piaceva, eccome! Tanto che, dopo aver regalato mezza Italia a Vittorio Emanuele, se ne andò a Caprera con un sacco di sementi e con una provvista di stoccafisso, omaggio dei suoi amici livornesi, gli Sgarallino in testa. "Tra le sementi" disse loro "ci sono anche quelle del pomodoro.
Ci piace immaginare che facesse un gesto d'intesa, magari strizzando l'occhio.
Ed ora veniamo a noi con la ricetta, occorre del baccala, spinato, spellato e tagliato a pezzi, dei pomodori spellati, eliminati i semi e fatti a tocchetti (pomodori la metà del peso del baccalà ), aglio, cipolla, basilico e prezzemolo.

Si fa un soffritto con aglio, cipolla prezzemolo e basilico
quando e pronto vi si versa il pomodoro e si fa cuocere a fuoco lento

è pronta quando l'olio si separa dal pomooro
nel frattempo che cuoce la salsa, in una padella si fa rosolare dell'aglio tritato
Vi riporto qui di seguito alcuni brani scritti da Aldo Santini nel suo libro "La cucina livornese" , relativi al baccalà e allo stoccafisso.
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A Livorno niente raffinatezze. Niente piatti alla francese. Il baccalà è sempre stato un piatto plebeo per i giorni di magro di un popolo ateo e blasfemo pronto ad inginocchiarsi davanti alla Madonna di Montenero. Baccalà e minestra di ceci. Un'accoppiata classica che fu subito adottata dai signori, dalla "crema" dei banchieri e dei mercanti, dalle "Nazioni straniere".
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E' possibile, allora entusiasmarsi per il baccalà o per lo stoccafisso alla livornese? Bisogna intenderci.I classici della cucina li ignorano. L'Artusi, ad esempio, non li cita nemmeno. Parla del baccalà alla fiorentina o alla bolognese, avvertendo "che non è confacente agli stomachi deboli, perciò io non l'ho mai potuto digerire".
Parla di uno stoccafisso in umido senza patria "che un amico mio, certo di far cosa gradita, non si perita d'invitare dei gran signori a mangiare questo piatto da colazione".
L'Artusi non ha mai avuto simpatia per Livorno. Vi mise piede una volta sola, nel 1853, a "praticare commerci" e ne fuggì spaventato qualche giorno dopo. Era andato a pensione in un alberguccio nei pressi della Fortezza Nuova e aveva avuto degli strizzoni di pancia. Tornà a Firenze per curarsi. In seguito lesse che era scoppiata un'epidemia di colera e il proprietario del suo albergo aveva tirato le cuoia.
Bè, non è un segreto: L'Artusi soffriva di stomacucci, come diciamo in Toscana, ed era un teorico della cucina. Livorno non poteva essere la "sua" città . A noi livornesi preme assai di più l'opinione di Giuseppe Garibaldi, questo soldataccio dalle voglie ferine e il cuore generoso. Il baccalà alla livornese gli piaceva, eccome! Tanto che, dopo aver regalato mezza Italia a Vittorio Emanuele, se ne andò a Caprera con un sacco di sementi e con una provvista di stoccafisso, omaggio dei suoi amici livornesi, gli Sgarallino in testa. "Tra le sementi" disse loro "ci sono anche quelle del pomodoro.
Ci piace immaginare che facesse un gesto d'intesa, magari strizzando l'occhio.
Ed ora veniamo a noi con la ricetta, occorre del baccala, spinato, spellato e tagliato a pezzi, dei pomodori spellati, eliminati i semi e fatti a tocchetti (pomodori la metà del peso del baccalà ), aglio, cipolla, basilico e prezzemolo.

Si fa un soffritto con aglio, cipolla prezzemolo e basilico

quando e pronto vi si versa il pomodoro e si fa cuocere a fuoco lento

è pronta quando l'olio si separa dal pomooro

nel frattempo che cuoce la salsa, in una padella si fa rosolare dell'aglio tritato

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