di Enzo Raspolli

LA STORIA SEMISERIA DELLA CUCINA ITALIANA.

Capitolo 6. Apicio e le ricettine – parte prima

Abbiamo detto che Apicio è la nostra fonte principale per conoscere la cucina romana antica. Ma Apicio non è un cuoco, è un letterato, gaudente, ma un letterato.
E non scriveva certo ricette per le ricche matrone romane né per i cuochi. Scriveva per esaltare la gastronomia, per raccontare l’arte del mangiar bene (tessera Slow Food n° 0).
Era un filosofo, con uso di cucina, mica un ricettatore.
Ed infatti non c’è una misura che sia una. Mai che dica 1 Kg di farina, un bicchiere di latte. Non gli interessava minimamente.

Ma il bello viene ora; come tutti i libri arcaici noi non abbiamo gli originali, ma le copie che durante i secoli bui i monaci trascrissero.
E nel trascrivere hanno combinato un bel casino.
Intanto di due libri ne hanno fatto uno solo, e fin qui passi.
Ma i censori ecclesiastici si sono anche esercitati a togliere delle ricette che consideravano immorali, ma soprattutto ad aggiungerne altre. Delle 478 ricette non più di 300 sono attribuibili ad Apicio.
E di quelle originali hanno spesso confuso gli ingredienti, riducendoli e semplificando, perché i nostri monaci trascrivevano per i nuovi signori della loro epoca e quindi avevano in mente i loro potenziali lettori e non il rigore filologico.
Poi, dobbiamo dirlo, i libri di Apicio ebbero delle critiche feroci, quando “uscirono”.
Critiche feroci da Seneca e da Plinio: roba da stroncare anche Aldo Busi.
Comunque Apicio trascrive “ricettine” tutto sommato praticabili, con quella ventina di ingredienti-base.
Devo ripetere che le ricette di Apicio e soprattutto i racconti di Petronio si riferiscono ai banchetti memorabili dei ricchi della Roma imperiale, e dei ricchi parvenu, spesso.
I ricchi di antica famiglia conservavano una forte moralità e raramente si lasciavano andare a questi eccessi scandalosi.
Fu infatti il Senato, spinto dai Padri della Patria a varare a più riprese le leggi “suntuarie” contro gli sprechi e i lussi eccessivi, ma non ci fu nulla da fare.

Ma allora come era la cucina romana, o almeno quella dei banchetti “ spettacolari”?
Ecco, era una cucina spettacolare, fatta non tanto per mangiare ma soprattutto per meravigliare, per dare l’immagine del proprio status, per sorprendere.
Mi sembra che quasi quasi ci siamo anche oggi, magari con piatti che sembrano quadri astratti, composizioni artistiche.
Ma i romani in più non praticavano il contrappunto, ma la somma dei sapori.
Il contrappunto, che è la caratteristica della cucina moderna, consiste nella presentazione di un ingrediente principale che viene esaltato, messo in evidenza, da ingredienti secondari e da profumi.
I Romani, ma poi vedremo che lo farà anche tutta la cucina sino alla rivoluzione francese, si basano invece sulla somma, sulla sovrapposizione di sapori.
Questo naturalmente in linea generale. Ci sono ricette che anche oggi sono ripetibili, ma dei “rifacimenti” parleremo dopo, abbiate pazienza.
Per noi comunque è difficile capire come si possa apprezzare e distinguere ogni singolo sapore quando ve ne sono alcuni molto forti, capaci di ammazzare un cinghiale imbestialito.
Per esempio la ruta, che io ho in giardino, e che anche al solo sfiorarla emette un puzzo notevole, tanto che la mia nonna ne preparava un infuso adatto a sverminare i bimbi.
Allora perché mai la tengo in giardino ? Già, perché ????? Non ho bambini con i vermi. E anche a lombrichi son messo male.
Ma loro la mettevano nei piatti, mica la tenevano, magari inutilmente, in un angolo del giardino.
La cosa si spiega con il fatto che gli aromi e gli ingredienti, avevano soprattutto il compito di sottolineare la ricchezza del piatto e quindi di chi aveva organizzato il banchetto, specie quando si trattava di spezie esotiche e costose.
A questo si aggiunga la passione dei cuochi per le sorprese.
Si esercitavano molto, e come gli piaceva presentare una cosa con l’aspetto di un’altra! come ci godevano.
E non erano Ferran Adrià con il suo gelato di parmigiano o con il brodo fritto.
Al suo cuoco Augusto fece erigere una statua, ma era capace di preparare una carpa in modo che guardandola sembrasse un pollo. Micoglioni!
Filetti di maiale acconciati a gamberoni o a piccioni, cervelli (molto usati) travestiti da testicoli (se si parlasse di persone si capirebbe meglio anche ora), prosciutti fatti a tortora ecc.
Tanto che uno dei divertimenti era quello di riconoscere cosa fosse realmente quello che arrivava in tavola.
Polpette, gelatine, passati di carne manicaretti sminuzzati erano poi molto comodi. Provate voi a mangiare una fiorentina con l’osso stando sdraiati e con un gomito appoggiato sul materasso.
Ci siete stati ai pic-nic, no?
Allora i simposiarchi (quelli che mangiavano) avevano bisogno di cibi che si potevano prendere con una mano sola.
Per i pezzi più grandi si servivano ……. Di un coltello, diranno i miei quattro lettori.
No, di uno schiavo.
E non di uno schiavo sottile o con una acuta intelligenza, ma munito, lui, di coltello.
Che con mossettine e gesti appropriati sminuzzava i pezzi grossi e li porgeva al commensale di turno.