di Enzo.

La caccia al cinghiale

© Giuliana
La testa del cinghiale spetta al cacciatore che l’ha ucciso, ma se la testa inizia dal grugno dove finisce?
E’ questa la prima domanda che si pone Luciano Bezzini, esperto della storia di Castagneto Carducci che mi ha regalato uno dei suoi libri di storia locale “Castagneto a tavola”.
Castagneto è stato possesso di nobili famiglie come i Conti della Gherardesca, perché era territorio salubre, non ancora Maremma infestata dalla malaria e quindi ha una storia ed una gastronomia in parte diversa da quella dei territori circostanti, con piatti anche ricchi derivati dalle cucine nobiliari i quali peraltro erano gli unici che fino al secondo dopoguerra potevano uccidere i cinghiali.

Per ritornare alla testa di cinghiale dove finisce ?
La tradizione vuole che il capocaccia stacchi la testa nel punto dove arrivano gli orecchi tirati all’indietro.
Dunque il fortunato cacciatore si troverà con una bella testa. Nasce a Castagneto, in maniera esclusiva ed in un territorio ristretto una preparazione che ho assaggiato un paio di volte e di cui il Bezzini ci riferisce ampiamente e cioè la TESTA DI CINGHIALE ALLA CASTAGNETANA.

Mi rendo conto che non è una ricetta proponibile, che non si potrà fare per la comunione del pupo, ma s’era detto che la rubrica ‘un era solo di ricette, ma anche di spunto di studi. E allora studiamo e zitti.
Prima di tutto la testa va appesa per alcuni giorni in cantina, e chi non ce l’ha dovrà farsi subito una cantina adatta. Poi, quando smette di sanguinare va rasata a zero, con il rasoio, poi con un ferro rovente ed anche con acqua bollente ed un pezzo di mattone.
La testa quindi va disossata lasciando intatta la pelle e mettendo da parte cervello, lingua e gli altri ritagli e va strusciata con limone e poi salata e bagnata con aceto ed olio e poi il tutto va cosparso di odori (ramerino, salvia, timo, aglio, alloro, ginepro ) e tenuto un paio di giorni a riposo.
Infine si farcisce la testa con la carne battuta e nuovi odori, si chiude legando il tutto ben stretto e si mette in un paiolo.
Qui si copre con olio, vino ed acqua nel rapporto 1,2,3 si mette una buccia di arancia, una manciata di uva passita, pinoli sgusciati, mezzo cucchiaio di cioccolato fondente. Si chiude il paiolo e si mette sul fuoco basso per qualche ora finché il liquido è ritirato e sul fondo si ha solo grasso che borbotta.
Si gira e si mette su un tagliere, affettando quando è tiepido.
Il Bezzini poi riporta anche una lista di bravi cuochi che dall’800 sono stati famosi in zona per l’abilità a cucinare questo pasto ed elenca poi 120 persone viventi che hanno cucinato la testa del cinghiale, con tanto di residenza e soprannome; tra queste, e sono stato contento, figura anche la nonna del mio amico che mi ha invitato per due volte a mangiare “la testina” a casa sua.
Il libro non riporta, ed è una lacuna, la discendenza dei cinghiali che hanno fornito le migliori teste, ma nessuno è perfetto.