di silvana.

Io sono nata e vissuta per un po’ di anni in un piccolissimo paese della Lomellina in provincia di Pavia, paesi piccoli dove tutti gli abitanti erano prevalentementi contadini di conseguenza anche la cucina era povera.
Molti erano agricoltori e avevano anche una piccola stalla dove allevavano qualche mucca per il latte ed il maiale che serviva loro per i salumi di tutto l’inverno.
Salumi classici, il salame crudo, la pancetta con l’aglio, i cotechini (pochi perchè allora non si conservano a lungo), la mortadella di fegato che veniva mangiata cotta o lasciata appassire e poi mangiata cruda, o si usava per fare la frittata o le verze fritte con la mortadella, comunque in certe zone si usa ancora oggi.
Le rane: fritte, in frittata, in carpione, il risotto con le rane, erano una cosa che si poteva mangiare tutti i giorni perchè si trovavano in abbondanza.
Il fornaio “prestinè” faceva un pane con i ciccioli di maiale…..(calorico!! non per le diete i oggi), si usava e si cucinava tutto quello che l’orto forniva, frutta o verdura.
Il pollaio tutti l’avevano, l’anatra arrosto con tutti i profumi appena colti e portata a cuocere nel forno del pane.

© Giuliana

Poi l’oca che serviva per il piumino e sopratutto come ho già lungamente scritto per la carne che veniva conservata per l’inverno.
Ovviamente anche polli, conigli, tacchino chi li allevava,
I dolci: allora come prima cosa si usava anche qui quello che la casa forniva ed in inverno c’era la torta di pane cotta nel forno della stufa a legna per ore, nelle feste “grandi” preparavano la “torta del vento” sempre cotta nel forno del pane, è una torta paradiso con l’olio al posto del burro più leggera, la mia nonna mi preparava sempre anche i “brasadè” ciambelline di frolla, ma purtroppo non ha lasciato la ricetta ed il fornaio il pan d’anice.
Queste le cose principali ma sicuramente ve ne sono ancora come ad esempio il riso e latte, io mi ricordo andavo a prendere il latte con un pentolino in un negozietto tutto di marmo bianco con il tavolo di marmo ed in un lato appoggiati alla parete c’erano i bidoni che contenevano il latte, la signora prendeva un mestolo con il manico lunghissimo e io dicevo che pescava il latte dal bidone e me lo metteva nel pentolino, solo che siccome il latte mi piace ne bevevo la metà prima di arrivare a casa!

La panada, il pantrito, tutti piatti poveri della cucina di quei piccoli paesi della lomellina o una bella minestra di verdura cotta per ore sul fuoco del camino, le cipolle fritte con il sanguinaccio.
Una cosa ricordo ancora del mio paese: allora venivano i pastori d’estate con i greggi per il pascolo e tutte le mattine uno di loro con una vecchia bicicletta che si era fatta prestare faceva il giro dei cortili gridando “sairas” (ricotta di pecora) le donne allora andavano in cortile con un piatto in mano lui toglieva da un cassettina che portava sulla bicicletta un sacchetto di tela lo pesava su di una piccola bilancia poi vuotava il contenuto nel piatto.

Poi sono venuta a Vigevano piccola cittadina ed anche qui ho trovato cose nuove.
Non vi parlo della storia della città, del Castello degli Sforza o della Torre del Bramante non è luogo, ma qui c’erano altre cose, il salamino di pasta buona cotto nella minestra, il fegatello, preparato con fegato di maiale e poi fritto, una squisitezza, i porcini della valle del Ticino, i chiodini che vengono a metà ottobre circa e si mangiano con lombo salsiccia e polenta,la “rustida” che non doveva mai mancare specie nei giorni di festa (frittura di maiale con cipolle o senza), le frittate fatte in mille modi che si usa mangiare in riva al Ticino il lunedi di Pasqua, a casa mia la nonna di mio marito faceva una torta di mele povera ma buonissima, ora da qualche anno in onore a Vigevano c’è una pasticceria che ha tirato fuori una vecchia ricetta “Il dolce del Moro” torta fatta con il riso.
La lomellina è anche ricca di risaie quindi di riso.

Nello scrivere le usanze della Lomellina, ho parlato del SEIRAS ora vi scrivo una poesia in dialetto dedicata a questo formaggio: voci d’altri tempi.

SEIRAS

I rivivan cul sò greg,
che i fivan pascula
sùta i pubi e in di prà.

Un asu cun tònta burs,
ligà in di fiònch,
par purtài piguri pena nasù,
cakdri e stòmp,
par luvrà al lat

Dù cò, pùsè pastur
di stes pastur!

I preparivan a la sira
cul lat, pena munsù
al sairas, che i vendivan
la mattina dopù
par i strà d’là mè cita
vùsònda (v’ricurdì)
SAIRAS, SAITRAS, SAIRAS

La poesia è di un vigevanese tale Angelo Pensa che aveva scritto un libro di poesie dialettali per benficienza.