di Giuliana
© Giuliana
Appoggiato al parapetto della nave, guardava sotto di lui, molti metri più giù.
L’acqua ribolliva lasciando una leggera scia di schiuma bianca sul fianco della nave, e si disperdeva in una miriade di piccole bollicine.
La sua cabina era un antro scuro in 4a classe, proprio giù, giù, nella pancia della nave, dove le paratie rimbombavano al rumore ritmico dei motori, e dove non distinguevi se era giorno o notte. Mancavano pochi giorni all’arrivo e lui preferiva passare tutto il tempo sul ponte, all’aria aperta. Vissuto sempre in campagna, non gli piacevano gli spazi angusti, abituato com’era alla libertà del cielo e dei campi a distesa.
Si sentiva cupo come quell’Oceano che stava attraversando. Era dovuto partire, i suoi glielo avevano chiesto o, forse, quasi imposto, c’era bisogno di aiuto, non poteva rifiutarsi.
La fame e e la mancanza di lavoro, la povertà di chi coltivava la terra condizionava, obbligava ad andare via, a cercare il riscatto di una vita migliore. aveva già visto partire tutti i suoi amici. Ora toccava a lui.
La guerra l’aveva sfangata fortunatamente, al fronte c’era già stato suo fratello più grande, e lo aveva visto tornare a piedi dalla prigionia in Austria malato e magro da far paura, l’ombra di se stesso.
Secondo la norma di quel tempo, un solo figlio per famiglia partiva per il fronte, e per una volta fu felice di essere nato dopo.
Era rimasto a casa, a coltivare la terra con suo padre e suo zio, e a fare incursioni notturne nella caserma poco fuori dal paese e in Polveriera per rubare ai tedeschi coperte e viveri, a rischio comunque di essere preso e passato direttamente per le armi.
Tedeschi e cosacchi si erano poi finalmente ritirati dal Friuli a guerra ormai finita, agli inizi di maggio, dopo aver distrutto, messo a ferro e fuoco molti piccoli paesi e aver depredato e rubato tutto quello che si poteva trasportare. Lui aveva smesso di correre rischi, andando di notte alla Polveriera.
Tedeschi e cosacchi aveva lasciato solo macerie e distruzione, lacrime e miseria, miseria nera, poi sono arrivati gli alleati.
Appoggiato a quel parapetto pensava al grande cambiamento che stava per affrontare. Stava andando in America, un luogo che finora per lui era soltanto una parola.
Pensava a quello che aveva lasciato, chissà quando avrebbe potuto tornare. Di colpo la nostalgia per la sua casa, per la sua terra, per la sua famiglia gli attanagliò la gola, e una fitta di dolore gli trapassò il cuore, gli occhi si riempirono di lacrime, fortunatamente nessuno lo stava guardando e lui lasciò che gli rigassero il volto. Chissà quando avrebbe rivisto i campi coperti di brina nel pieno dell’inverno, le vigne inondate dal sole d’estate e il grande albero giallo di cachi dietro casa.
A malincuore aveva lasciato la sua squadra e il calcio, la sua grande passione. Era bravo, davvero bravo. “Tu avrai un grande futuro con il calcio”, gli dicevano, lo aveva anche già contattato il Padova, ma le porte del destino si erano chiuse in un modo e aperte in un altro, proiettandolo lontano dai suoi sogni.
Pensava a quel momento in cui aveva attraversato il confine con la Francia, alla prima volta che aveva fatto la valigia ed era partito.
Al suo primo tentativo di trovare fortuna era approdato vicino a Grenoble. Una parentesi durata tre anni.
Gli piaceva la città, ed anche se era la prima volta che affrontava la solitudine di una vita da emigrato, lì aveva tanti amici del paese, partiti prima di lui, che lo facevano sentire meno solo. E insieme a loro aveva ricominciato a giocare a calcio, nel Saint Marcellin, una squadra locale, lo aveva persino adocchiato un tecnico del Paris Saint-Germain e c’era stato un momento in cui aveva accarezzato la possibilità di veder realizzato il suo sogno.
E invece era lì, con la sua valigia di cartone, sul Saturnia, una nave carica di varia umanità che andava tutta a cercare vita migliore dove la cercava lui, nel Nord America.
In Canada lo aspettava lo zio Attilio, uno dei fratelli di sua madre partito con la prima ondata di emigrazione della famiglia quando lui era ancora ragazzetto.
Gli aveva trovato un posto in un allevamento di bestiame, a Trail B.C., e d’accordo con i suoi genitori, gli aveva mandato il biglietto per il piroscafo. A dire il vero era suo fratello che avrebbe dovuto andare via, ma, per diversi motivi, su quella nave c’era salito lui.
Scese dalla nave stanco e provato, con il cuore pesante e la testa piena di interrogativi, cercando con lo sguardo suo zio, in mezzo a tutte le persone assiepate sulla banchina del porto.
Sospirando mise per la prima volta piede in territorio canadese, pensando a tutta la strada che ancora avrebbe dovuto affrontare… ancora 6.000 km per arrivare a destinazione, dall’Atlantico verso il Pacifico.

Lui è mio zio Paolo, classe 1925. Fratello minore di mio padre. Ha compiuto 87 anni qualche giorno fa.
Aveva 24 anni e su quella banchina del porto di Halifax ha avuto inizio la sua strada, lontana anni luce da tutto quello che aveva conosciuto fino ad allora, lontana da tutta la sua famiglia d’origine. Era il 1949, ed io stavo per nascere.
Dopo qualche anno si è trasferito a Vancouver, nel British Columbia dove ha sposato una discendente dei Nativi d’America, tribù dei Black Foot (Piedi Neri), Claire, e ha avuto tre figli.
Ha giocato ancora a calcio, a New Westminster vincendo anche il campionato regionale con la squadra dei Royals Football Club.
Grande pescatore, appassionato ed espertissimo, e vivendo in un luogo dove i laghi abbonando, non aveva, anzi, non ha che l’imbarazzo della scelta. Ne aveva addirittura uno tutto suo, due ore di cammino in mezzo ai boschi e poteva pescare in totale solitudine, ma nei boschi canadesi, oltre agli Alci e ai Caribou, girano anche i Grizzly, ne aveva incontrati parecchi, ed anche di pericolosi, soprattutto le orse quando avevano i piccoli, ma di queste storie canadesi vi parlerà prima o poi.
Grazie alla famiglia indiana di sua moglie che gli ha insegnato a conservarli ed affumicarli, i suoi salmoni, le sue trote e i suoi storioni, li ho assaggiati anch’io.
Non ha fatto fortuna, a differenza di tantissimi emigrati di quel tempo, ed è potuto tornare a casa, a rivedere sua madre ormai vedova, i suoi fratelli e i suoi nipoti soltanto 30 anni dopo.
Ricordo che andammo in delegazione familiare a prenderlo a Malpensa. Era la prima volta che lo vedevo, ci abbracciammo e fu un abbraccio lunghissimo, silenzioso, in mezzo all’aeroporto, entrambi con la gola chiusa dalla commozione, davanti a mio padre che piangeva altrettanto silenziosamente.
Non è diventato un campione di calcio pur avendone tutte le potenzialità, la vita lo ha portato dall’altra parte del mondo. Ha dovuto scegliere che porta oltrepassare, e non ha avuto una vita facile. Come noi qui del resto. Ma almeno noi eravamo a casa nostra.
Per lui e molti altri della mia famiglia che sono dovuti partire non è stato rose e fiori vivere in un paese straniero, inizialmente senza capire, senza parlare bene la lingua del posto, sottoposti ad umiliazioni ed angherie, le più svariate, per anni.
Dopo quel primo ritorno, ce ne sono stati altri, a volte da solo, a volte con le figlie e i nipoti, l’ultima volta è stato l’anno scorso, in occasione delle nozze di Chiara.
Mi manca la vicinanza della mia famiglia canadese, mi mancano tutti i Natali non passati insieme, i compleanni festeggiati a distanza, le emozioni condivise di un matrimonio o di una nascita, mi manca la quotidianità di quelle piccole ricorrenze in cui si condensano e si riconoscono gli affetti.
L’Oceano ci divide, e non è solo una immagine, è proprio la vastità dell’Oceano, e pesa, pesa sul cuore.

Buon compleanno caro zio!

Guarda, del salmone! Certo non è buono come i Sockeye che catturi tu, ma mi accontento…

Tranci di salmone e salsa saporita

per 2 persone

4 piccoli tranci di salmone (2 se sono grandi)

per il court bouillon:
1 carota
1 costa di sedano
1 piccola cipolla
1 foglia di alloro
qualche bacca di ginepro
qualche bacca di pepe nero
1 bicchiere di vino bianco
un pezzetto di scorza di limone
1 spicchio d’aglio
sale.

Per la salsa:

1 pugno di capperi sotto sale
1 filetto di acciuga sott’olio
1 ciuffo di aneto fresco
poca scorza di limone grattugiata
sale, pepe, olio e.v.

Pulire le verdure e preparare il court bouillon lasciandolo bollire pian piano finché le verdure sono cotte e morbide. Dopodiché aggiungere il vino bianco, spegnere, filtrare e lasciar raffreddare.
Pulire e lavare i tranci di salmone.
Riprendere il court bouillon, riportarlo a bollore e tuffarci i tranci di salmone facendoli cuocere finché sono morbidi. Tenere in caldo.

Mentre cuoce il salmone preparare la salsa: dissalare bene i capperi, strizzarli e tritarli a coltello insieme al filetto di acciuga riducendoli in poltiglia.
Versare tutto in una piccola ciotola, aggiungere la scorza di limone grattugiata, l’aneto tagliuzzato con la forbice, il sale e il pepe e diluire il tutto con dell’olio e.v. d’oliva di buona qualità. Mescolare bene per emulsionare.

Scolare i tranci e servirli con la salsina di capperi e aneto.

Eccolo lo zio Paolo sul Fraser river, con la sua cattura più bella, non per la taglia dello storione, ma perché è stato solo un paio d’anni fa, a 85 anni…

© Giuliana
ed al matrimonio di mia figlia!
© Giuliana