di Enzo Raspolli

LA STORIA SEMISERIA DELLA CUCINA ITALIANA.

Capitolo 5. I pasti antichi

Allora sappiamo che c’erano cuochi itineranti, che preparavano banchetti in tutte le sponde del mediterraneo, ma non chiamateli cuochi.
Il banchetto era un rito più religioso che gastronomico; gli dei erano li, in mezzo ai convitati, per loro veniva sacrificato l’animale che poi veniva mangiato, per loro il primo boccone veniva sputato ed il primo vino gettato in aria.
Dei immanenti, come pappagalli sul trespolo, che se gli sbrillava ti mettevano incinte le spose che, come tutte le donne, non potevano partecipare al banchetto ed erano rimaste a casa. Quindi meglio trattarli bene.

Il banchetto si divideva in tre atti, come una commedia o una corrida. La gustazio poteva essere fatto anche prima del banchetto, come sorta di aperitivo, poi seguiva la cena (i banchetti erano pomeridiani) ed infine il dopo-cena (commisatio).
Il simposio era quindi un banchetto rituale, svolto tra uomini e teso all’arricchimento spirituale e ad una forma di cenacolo letterario.
Spesso era intercalato da letture e recitazioni. Bravino era un narratore cieco che cantava del pelide Achille.
Torniamo a noi e riassumiamo:
Degli antichi sappiamo che materie prime usavano, sappiamo il rituale, poco sappiamo delle ricette e dei sapori.

Sappiamo solo che il mangiare ordinario era costituito per tutti da pane, verdure, poca carne o pesce e molta frutta.

Nella gloriosa Atene la colazione era fatta essenzialmente di pane magari farcito, olive, fichi, frutta. Figuriamoci a Sparta.

Il povero Carlo Marx, un tedesco, diceva che l’uomo è determinato dal suo essere sociale.
Mica difficile da capire. Pensate ai romani delle origini: pastori aggressivi, che si organizzano superando il tribalismo e fondando un piccolo e coeso stato unitario e si fanno posto nel Lazio, rattano le Sabine, fanno guerra ai vicini e vincono.
E poi conquistano le prime città Etrusche, si sgrezzano un po’ ma rimangono sempre pastori guerrieri, il loro essere sociale è quello di uomini pronti ad uccidere per difendersi e per conquistare. Questo ne determina costumi ed abitudini.
Nella Roma delle origini, e l’abitudine rimarrà anche dopo, nelle case normali, non in quelle dei patrizi, si mangiava quasi sempre a crudo.
Puls, formaggio, olive, frutta, e poi anche pane, ma senza accendere il fuoco per preparare pietanze.Tra l’altro i pompieri si incazzavano dimolto quando vedevano fuochi nei palazzoni della suburra che avevano il vizio di bruciare come fiammiferi.
Semmai si andavano a prendere alla bottega sotto casa, i cibi cotti.
Pensate che ai tempi di Cesare Augusto almeno un terzo degli abitanti della grande Roma mangiava alle mense pubbliche, a carico dello Stato.
Solo ai tempi dell’impero nelle case dei ricchi si iniziarono ad allestire banchetti ed intorno ad essi girava una folla di questuanti, amici degli amici, liberti, intrufoloni vari: erano i “clientes”. Parola che troveremo poi anche alla fine del secolo. Questo secolo.

Ma nella Grecia di quegli stessi tempi il simposio, era ben diverso. I greci erano soprattutto commercianti, uomini colti che non tendevano all’espansione territoriale, anzi si erano chiusi nelle loro città stato e conquistavano il mondo con le merci, gli scambi e la loro cultura.
Ad ogni profilo sociale, grosso modo, corrisponde quindi un profilo umano e culturale diverso.
Quando i romani conquisteranno le città greche erano già sulla via della ricchezza; sconfitto Pirro i territori conquistati permettono l’arrivo di milioni di schiavi, del provento di razzie immani, di merci prodotte in tutto il mondo.
Ci sono le condizioni per cui quei testardi pastori, che avevano costruito un forte stato centralizzato “cadessero” nella trappola della cultura, dell’intelligenza, del gusto.

E saranno i greci sconfitti a dare questa merce nuova ed affascinante: il lusso.