L’agresto. La Toscana, una regione molto amata, un po’ come tutte le regioni italiane, in cui la tradizione è specchio anche di povertà.
Di ottobre è tempo che le donne, i vecchi e i bambini ripassino nelle vigne a raccogliere gli agresti che non sono stati vendemmiati.O meglio tempo lo era, nel mondo contadino in cui non si buttava via nulla e dove il lavoro non aveva prezzo, nel senso che non veniva pagato.Ho ripreso in mano il bel libro di Piero Ugolini ‘La vera cucina toscana… ” e voglio parlarvi di uno scarto di stagione.
Prima di tutto notare la dizione ‘scarto di stagione’… che nel suo piccolo è una chicca, anzi un chicco.
Gli agresti sono quelle piccole pigne di uva non maturate, gli scarti della vendemmia che vengono lasciati sulle viti perchè acide e inadatte a fare vino.
Ma fanno aceto e così sono sempre stati usati nelle campagne toscane dove per i rapporti di mezzadria si doveva fare tutto o quasi tutto in casa.
Si vendemmiava come fosse uva vera, ma era un lavoro portato avanti da vecchi e bambini, quasi una parodia della vendemmia vera, e bastava un caratello, un piccolo tino, magari malandato, per fare l’operazione.
Dopo alcuni giorni di fermentazione il “vino d’agresto” veniva messo in un barile con una metà di aceto vecchio e con mezza madre dell’aceto.
La madre dell’aceto: bellissima ed inquietante massa gelatinosa che giaceva nel buio della cantina, dentro il barile dell’aceto, che veniva divisa o quando si incominciava la produzione di un altro barile di aceto o quando un figlio usciva di casa per fondare una nuova famiglia.
Il corredo da dargli era scarso, giusto un po’ di biancheria, i vestiti da lavoro in tela d’africa, ma certamente un po’ di madre dell’aceto, in modo che nella nuova casa ci fosse una cosa viva della vecchia.
Ed anche la suocera lo aveva spruzzato di aceto, quando il ragazzo andò a fare “la chiesta” di quella che ora era sua moglie, perché schizzare d’aceto era un modo per battezzarlo come membro della famiglia.
La madre dell’aceto, questo blob primigenio, domestico e odoroso, ammasso tremolante di batteri avrebbe iniziato il miracolo di trasformare il vino d’agresto in aceto, ottimo aceto.
Un paio di anni di lavoro silenzioso, nel buio della cantina e poi la massaia avrebbe aggiunto gli odori che sapeva lei, l’aglio, il timo, il rosmarino forse, ed il nuovo aceto sarebbe stato pronto.
Ed era prezioso, l’aceto.
Quando partorivano le vacche ne serviva, e poi contro il malocchio, per combattere il raffreddore, lucidare le brocche, conservare gli scalogni, ed ancora per medicare i piccioni con la malattia delle bolle sul capo, per disinfettare le ferite dei galletti quando veniva la donna che li trasformava in capponi, con il resto dei fagiolini giallo-arancio della loro “virilità” sottratta.
E tutto questo dall’agresto, da quell’aborto di uva, da quello scarto inutile, da quella maledizione : “attese che facesse uva ed invece produsse agresto ” dal Libro di Isaia (5,2).
Ma siccome quasi nessuno ha la madre dell’aceto, anche se qualcuno può sostenere di avere la suocera acida, e comunque occorrerebbero almeno due anni, vi racconto della ‘salsa d’agresto‘….
Ottimo condimento acido, quando non si potevano comprare limoni o addirittura sembra già da prima dell’arrivo di questi. Ugolini cita Isaia (5.2) ‘..attese che facesse uva e invece produsse agresto….. ed infatti si chiama anche aceto ebraico.
Allora si prendono 2 manciate di chicchi di agresto, 24 mandorle sbucciate, 12 noci, 4 cucchiai di mollica di pane bagnata di aceto, erba cipollina , 1 cucchiaio di zucchero, 1 spicchio di aglio, 1 ciuffo di prezzemolo, sale e pepe.
Tritare gli acini e raccoglierne il sugo. Tritare le mandorle, le noci, la cipollina, l’aglio, il prezzemolo, aggiungete la mollica di pane bagnata in aceto e il succo dell’agresto.
Mescolare il tutto con l’agresto tritato, aggiungendo lo zucchero, poco sale e pepe e si fa cuocere lentamente, senza far bollire e girando continuamente finchè non si amalgama.
Si accompagna a carni bollite ed arrosto.
Si tratta di una salsa acida conosciuta e descritta davvero nell’antichità , ma anche, su su, fino al 1700.
Ora io sono dl parere che non è questa salsa a determinare la bontà di un pranzo, ma volete mettere la figura che si fa descrivendo l’origine, la storia ecc.
Per questo è una grande salsa.
P.S. Se andate nelle vigne a cercare agresti, abbiate l’accortezza di andarci dopo che hanno vendemmiato. Non vi posso coprire sul piano assicurativo se fate altrimenti.