di Enzo Raspolli

LA STORIA SEMISERIA DELLA CUCINA ITALIANA.

Capitolo 6. Apicio e le ricettine – parte seconda

Ma ritorniamo ai cibi, che dell’organizzazione del banchetto parleremo poi.
Sentite questo pezzetto della Cena di Trimalcione
Infine, fu portato un vassoio con un enorme cinghiale. Trimalcione lo fissò dritto negli occhi gridando “ma come? Il cinghiale non è stato pulito? Gli Dei mi sono testimoni, non lo è! Chiamatemi il cuoco!”
Quando il cuoco si avvicinò alla tavola, con fare preoccupato e disse che si era dimenticato di pulirlo, Trimalcione lo apostrofò: “Come sarebbe a dire dimenticato ? Spogliatelo!” Senza frapporre indugi il cuoco fu spogliato ed attendeva timoroso fra le guardie.
Tutti allora iniziarono ad intercedere per lui. Il volto di Trimalcione si rasserenò e disse: “E va bene ! visto che hai una così cattiva memoria, pulisci questo cinghiale qui, sotto i nostri stessi occhi” Ed il cuoco rivestì la tunica, prese il coltello da cucina e con mano insicura incise il cinghiale da una parte all’altra del ventre. E subito dalle incisioni, dilatatesi per la spinta di quello che stava all’interno, sgorgò una grande quantità di salciccie arrostite e sanguinacci”

Ma gli scherzi potevano essere anche più pesanti.
Anche la qualità dei cibi era tesa a mostrare lo spreco.
Tra le leggi suntorie una puniva chi uccideva le scrofe gravide pochi giorni prima del parto, con conseguente morte dei maialini, per ricavare, dalle mammelle piene di latte, dei piatti da mostrare nel banchetto.
Si hanno notizie di piatti preparati con le lingue di pappagallini africani, con cervelli di uccelletti minuscoli, insomma con quegli ingredienti che facevano fare un “ohh “ di meraviglia ai grezzi e ricchi invitati.

Ma anche descrizioni chiaramente “barocche” di un cinghiale ucciso al primo levarsi dei venti di zefiro, di triglie pescate nel mare interno di Marsiglia, di frutti di mare provenienti da zone particolarissime del mediterraneo davano il segno di questo gusto per l’eccessivo, lo scenografico, l’iperbole.
Tiberio, ricevuta in dono una triglia di quattro libbre, la mise praticamente all’asta tra i crapuloni dell’Urbe. Vinse Ottavio che scucì 5.000 sesterzi.
Quanto valevano? non si sa, non ci hanno mandato la governativa macchinetta-trappola per la conversione sesterzi/euro.
Marziale, nell’epigramma XIII 71 scrive a proposito dei fenicotteri: Le mie penne rosse mi danno il nome, ma la mia lingua piace ai golosi. E se la mia lingua sapesse parlare? 

Io la tiro per le lunghe e alle ricette non ci siamo ancora arrivati.
Via, eccone una per chiudere il capitolo.
Ed appunto vi trascrivo la ricetta per cucinare un fenicottero, caso mai ne aveste comprato qualcuno in più alla coop. Ci si risente, gente!
Spenna il fenicottero, lavalo, preparalo per la cottura e mettilo in una pentola insieme ad acqua, sale, aneto e un poco di aceto. A mezza cottura aggiungi – affinché cuocia insieme al resto – un mazzetto di erbe aromatiche (porro e coriandolo). Poco prima che la cottura sia completa bagna con defrutum che lo colorirà. Ora pesta in un mortaio pepe, cumino, coriandolo, radice di laserpizio, menta e ruta, aggiungi aceto , dei datteri e bagna con il suo sugo. Versalo nella stessa pentola e lega la salsa con fecola. Quindi versa sulla carne e servi.
La stessa ricetta è adatta anche per cucinare pappagalli.