di Annamaria Romano
© Annamaria Romano
In casa mia, intendo nella parte modenese della famiglia, c’è sempre stato e c’è tuttora un culto fanatico per l’aceto balsamico: fa parte della vita di casa, come un parente molto molto stretto.
La nostra acetaia nasce circa 150 anni fa, si è gradatamente divisa per le successive divisioni ed eredità ed ora la parte che mi è toccata in sorte viene curata da un balio (è proprio il nome che si è sempre dato a chi cura l’aceto!).
La cose importanti perchè l’aceto venga quel nettare che deve essere sono moltissime, ma alcune in particolare sono imprescindibili: almeno 4-5 vascelli (le botticelle che contengono gli aceti) di misura crescente e di legni diversi (rovere, gelso, noce ecc), dal più piccolo di pochi litri, al più grande che arriva anche a 15 litri.
La più grande sarà quella in cui si versa il mosto cotto: si tratta di mosto di uva trebbiana, appena colta e non ancora fermentata, che si mette a bollire in grandi calderoni fino a ridurlo ad 1/3 del suo volume iniziale.
Questo mosto cotto è fondamentale per la buona riuscita del balsamico e serve per i rincalzi, cioè si preleva l’aceto già pronto da consumare dalla prima botticella, nella prima si versa quindi l’aceto della seconda, nella seconda quello della terza e così via.
Nell’ultima si versa il mosto cotto invecchiato, cioè che ha subito la bollitura ed è stato un certo numero di anni ad invecchiare.
Tutto questo procedimento spiega anche il costo molto elevato del balsamico tradizionale di buon invecchiamento, che non può essere inferiore alla 150 mila lire per una bottiglietta omologata dai consorzi (uno dei più importanti è a Spilamberto, a pochi km. da Modena) da 125cc.
Ovviamente il balsamico ha funzioni molto diverse dall’aceto di vino: è straordinario con tutto ma in particolare con alcuni cibi.

Abbinamenti classici

Sulle patate bollite tagliate a fette e condite con olio, mescolate e poi irrorate di aceto (se si mette l’aceto per primo, le patate ne assorbono una quantità enorme: sconsigliato anche per il costo…)
Sulla frittata, sia quella semplice di sole uova, sia quelle di verdure o di formaggio ecc.
Con l’aperitivo più raffinato del mondo: schegge di grana reggiano invecchiato almeno 24-30 mesi, meglio se di collina, con sopra balsamico molto vecchio, quasi una salsa, accompagnato da un buon vino bianco secco e frizzante.

Il balsamico invecchiato 40-50 anni è una rarità che pochissime persone ormai possiedono e chi lo ha se lo tiene ben stretto!
Un tempo in casa dei nonni c’era un piccolo “vascello” con un aceto riservato al pesce bollito.
Era denso e scurissimo, dal gusto straordinariamente intenso, di cui bastavano poche gocce per aromatizzare un piatto.
Era di solito compito del nonno distribuirne una modestissima quantità a tutti, dopodichè l’ampollina ritornava al suo posto, nella credenza del salotto chiusa a chiave dalla nonna.

Sulla carne

Non solo sulla tagliata di manzo, oggi tanto di moda, ma su qualsiasi piatto di carni rosse, quindi roastbeef, filetto al sangue, carpaccio: si cosparge il piatto con aceto balsamico, vi si intinge la carne, la si rigira un paio di volte e la si cosparge ancora di un po’ di aceto.
Se il piatto è stato scaldato, ad eccezione del carpaccio, è ancora meglio.

Credo che ormai tutti conoscano l’uso del balsamico sulle fragole, che rappresenta un classico di tutto il modenese e non solo: se non l’avete mai provato ed avete del vero balsamico, provate e mi saprete dire.

Infiniti sono però gli usi di questa delizia, che è nata in una terra straordinaria, ricca e generosa, una delizia che nelle antiche famiglie costituiva addirittura una dote per le ragazze che si sposavano e che si portavano nella nuova casa, insieme al corredo più o meno ricco ed elaborato, anche quella che era considerata la vera essenza della tradizione di casa.

[L’articolo è stato scritto da Annamaria Romano nel gennaio dell’anno 2001]